Di Peste e COVID-19
Lo studio della storia non è un esercizio mnemonico, bensì di comprensione. Questa era la convinzione dello storico greco Tucidide, che nel V secolo a.C. si accingeva all’immane impresa di documentare la concatenazione di eventi che causarono lo scoppio della Guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta e ne caratterizzarono lo sviluppo (431-404 a.C.). Il suo scopo non era tanto quello di riportare la mera cronaca degli avvenimenti: Tucidide aveva un obiettivo di più ampio respiro, la comprensione appunto. Comprensione del passato, certo: ma anche del presente e – perché no – del futuro. Cosa è la storia infatti se non il ripetersi delle stesse dinamiche in circostanze simili con protagonisti diversi?
Studiare il passato insomma ci aiuta a riconoscere dei pattern nella storia: una causa genera una determinata conseguenza. La conoscenza, ma soprattutto la comprensione, della storia ci aiuta a prevedere come gli eventi andranno a dipanarsi e a concludersi, ma non solo: sapendo come andrà a finire la storia, chi è che a quel punto resisterebbe alla tentazione di modificarne il corso?
La strage dei medici
Molti sono gli episodi narrati da Tucidide che potrebbero tranquillamente essere stati scritti ieri. Uno in particolare non può che venire in mente in questi giorni, dove il coronavirus miete centinaia di vittime ogni giorno: mi riferisco alla descrizione della peste di Atene, che sconvolse la città attica durante la prima fase della guerra peloponnesiaca e costò la vita a innumerevoli ateniesi, incluso lo stesso Pericle, il carismatico leader della città nonché uno dei pochi fautori della pace.
Ad esempio, la descrizione della strage dei medici ricorda tristemente il pericolo a cui il personale sanitario si sta sottoponendo con grande spirito di sacrificio, in Lombardia ma non solo[1]:
Non bastavano a fronteggiarla neppure i medici, i quali, non conoscendo la natura del male, lo trattavano per la prima volta; anzi loro stessi morivano più degli altri, in quanto più degli altri si accostavano al malato, e nessun’altra arte umana bastava contro la pestilenza[2].
E che dire delle attuali testimonianze di funerali in sordina, senza poter dare un ultimo addio ai propri cari?
Tutte le consuetudini che prima avevano nel celebrare gli uffici funebri furono sconvolte, e si seppelliva così come ciascuno poteva.
E se l’evento è simile, la natura umana, anche a più di duemila anni di distanza, reagisce nello stesso modo, e quale reazione è più istintiva che individuare per la disgrazia un colpevole, un “altro” da noi?
La caccia al colpevole: lo straniero
Nel 430 a.C. l’“altro” era il nemico, Sparta:
Ad Atene [la peste] piombò improvvisamente, e dapprima contagiò gli uomini al Pireo, sì che dagli Ateniesi si disse che i Peloponnesi avevano gettato dei veleni nelle cisterne.
E nel 2020? Il colpevole non può essere nessun altro che lo “straniero”. Per Eduardo Bolsonaro questo si identifica specificamente nel partito comunista cinese e non è da meno il discorso alla nazione di Donald Trump dell’11 marzo scorso, costellato di innumerevoli riferimenti a “noi” in contrapposizione agli “altri”. In un discorso di appena nove minuti, il presidente riesce a citare l’America o gli Americani per ben 19 volte. Mi limito a riportare qui alcuni brani particolarmente significativi:
My fellow Americans: Tonight, I want to speak with you about our nation’s unprecedented response to the coronavirus outbreak that started in China and is now spreading throughout the world […] This is the most aggressive and comprehensive effort to confront a foreign virus in modern history […] The European Union failed to take the same precautions and restrict travel from China and other hotspots. As a result, a large number of new clusters in the United States were seeded by travelers from Europe […] To keep new cases from entering our shores, we will be suspending all travel from Europe to the United States for the next 30 days […] I will never hesitate to take any necessary steps to protect the lives, health, and safety of the American people. I will always put the wellbeing of America first […] No nation is more prepared or more resilient than the United States. We have the best economy, the most advanced healthcare, and the most talented doctors, scientists, and researchers anywhere in the world […] We are all in this together. We must put politics aside, stop the partisanship, and unify together as one nation and one family.
Discorso che ha puntualmente spinto il portavoce del Ministro degli Esteri cinese ad incolpare a sua volta l’esercito statunitense di aver portato l’epidemia a Wuhan, in un reciproco tentativo di creare disaccordo sull’origine del virus e distogliere l’attenzione dal vero problema: ovvero le proprie carenze in termini di gestione dell’emergenza. E non è neanche la prima volta che si tira in ballo Tucidide a proposito dei rapporti tra Washington e Pechino: Graham T. Allison parlava proprio di “trappola di Tucidide” nel suo libro Destined for War, chiedendosi se, come Sparta e Atene, anche le due potenze Cina e Stati Uniti sarebbero inevitabilmente venute a scontrarsi in un conflitto aperto per affermare la loro egemonia. Come Sparta, anche la Cina sembra meno interessata rispetto alla sua controparte a esacerbare la situazione, ma – come la storia insegna – can che non abbaia, può mordere: incalzata da Sparta, Atene ha finito per capitolare nella guerra da lei stessa scatenata e ha dovuto rinunciare, sebbene brevemente, al regime democratico a favore di quello dei Trenta tiranni.
E non dobbiamo pensare che queste dinamiche non riguardino noi, abitanti del vecchio continente: cosa implica il fatto che a essere gli “altri” ora siamo proprio noi, gli italiani e gli europei che si trovano le frontiere chiuse? Il motto dell’Unione Europea è “uniti nella diversità”, nella disgrazia un po’ meno, pare in questi giorni. Dopo il gioco dello scaricabarile è pensabile tornare all’Unione Europea che conoscevamo? Saremo ancora in grado di provare orgoglio per la nostra “europeità” e un condiviso senso di appartenenza? Questo purtroppo è impossibile da prevedere nel contesto di incertezza in cui ci troviamo. Quello che è prevedibile però è che la polarizzazione, questo gioco di “noi” e gli “altri”, rischia solo di aggiungere una crisi politica a una sanitaria ed economica.
La crisi come scelta
La parola greca krísis, da cui l’italiano crisi – situazione in cui chiaramente ci troviamo – ha tra i vari significati quello di “scelta”: è vero che la necessità di puntare il dito su un “altro” che sia il colpevole dei nostri mali, untore e capro espiatorio allo stesso tempo, è vecchia quanto il mondo, ma non sarebbe ora il momento di “scegliere” una via diversa? Tucidide auspicava che alcune ciclicità storiche potessero essere previste e quindi controllate, se non addirittura spezzate: forse se le stesse energie che si dedicano ad additarsi l’un l’altro, si impiegassero per coordinarsi e affrontare in modo unito questa emergenza, potremmo avere la nostra occasione per dare vita a un nuovo ciclo. E questa volta virtuoso.
Giulia Isetti ha un dottorato in Scienze dell’antichità (Università di Genova) ed è Senior Researcher presso il Center for Advanced Studies di Eurac Research. Il lockdown le sta permettendo di realizzare il suo proposito dell’anno nuovo, ovvero leggere di più, ma è impaziente di assistere dal vivo a uno spettacolo teatrale o a un concerto di musica classica. |
[1] Il 18 marzo i media riportavano che l’8 per cento dei contagiati in Italia era un operatore sanitario. Fonte: https://www.repubblica.it/cronaca/2020/03/18/news/coronavirus_in_vigore_il_decreto_cura-italia_aumentano_i_contagi-251584599/.
[2] Traduzione dei brani dal greco a cura di Franco Ferrari.
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