Montanari per forza: storie di immigrazione straniera nelle montagne italiane
Chi sono i “montanari per forza”? A questo gruppo di persone appartengono i cosiddetti migranti forzati, richiedenti asilo e i rifugiati, collocati in strutture di accoglienza dislocate nei territori montani italiani. Tra il 2008 e il 2017, a seguito della destabilizzazione del Medio Oriente e dell’aumento della povertà e delle discriminazioni che avvengono quotidianamente in Africa, circa 6 milioni di persone hanno raggiunto l’Europa[1] e una buona parte di esse ha fatto domanda di protezione internazionale in Italia, determinando quella che ad oggi, la cronaca quotidiana chiama “emergenza migranti”.
«Dei 125.203 migranti ospitati in CAS e SPRAR a luglio 2016 su tutto il territorio nazionale, 50.762 sono ospitati all’interno di zone montane, di cui 33.186 nelle zone montane più interne, ripartite al 21% nelle Alpi e al 30% nei territori appenninici o altre montagne[2]» precisa Alberto Di Gioia in Montanari per forza, volume scritto da Maurizio Dematteis, lo stesso Di Gioia e Andrea Membretti e frutto dell’impegno dell’Associazione Dislivelli in stretta collaborazione con l’Area Politiche sociali della Compagnia di San Paolo, con il Forum internazionale ed europeo di ricerche sull’immigrazione (Fieri), l’Area Lavoro e solidarietà sociale della Città Metropolitana di Torino e la Direzione Coesione sociale della Regione Piemonte. Grazie all’analisi di sette casi studio individuati in Piemonte e in Liguria, la ricerca ha evidenziato quanto alcune comunità si siano attivate per far fronte all’emergenza e come queste stesse comunità abbiano portato avanti progetti di accoglienza vincenti per le persone, migranti e autoctoni, e per il territorio. Questo studio ha cercato di porre in relazione due fenomeni: in primo luogo lo spopolamento di alcune zone montane e, in seconda battuta, il crescente bisogno di accoglienza da parte di richiedenti asilo e rifugiati giunti in Italia in cerca di protezione. Al fine di trattare in modo organico la questione, il volume è stato organizzato in tre parti: innanzitutto, il fenomeno in parola è stato inquadrato a livello nazionale grazie ad un’analisi statistica dei dati comunali prodotti dalla georeferenziazione delle strutture di accoglienza sul territorio e l’incrocio con dati socioeconomici. Grazie a questo incrocio è stato possibile indagare il ruolo e il peso delle aree montane all’interno del sistema di accoglienza nazionale. Una seconda parte è stata dedicata ai dati relativi al Piemonte e alla Liguria, ottenuti grazie ad un’indagine qualitativa all’interno dei casi territoriali, al fine di individuare buone pratiche di integrazione; in particolare, sono state studiate le condizioni che hanno consentito ai migranti forzati di diventare valore aggiunto per i territori montani ospitanti e per sé stessi. In conclusione, è stata presentata una sintesi dei risultati emersi corredata da riflessioni sul tema della migrazione.
Come mostra la figura 1, le aree montane ospitano circa il 39% di migranti presenti nei CAS di tutto il territorio nazionale, mentre solo la metà dei migranti degli SPRAR (quasi totalmente ospitati negli Appennini).
Fig. 1- Le strutture georiferite che ospitano migranti forzati in Italia, suddivise per CAS
e SPRAR (rilevazione luglio 2016)
La destinazione di numeri sempre maggiori di richiedenti asilo e rifugiati nelle aree montane ha messo e mette a dura prova gli equilibri delle comunità residenti in quelle aree. Complice la presenza di strutture dismesse e non opportunamente rifunzionalizzate, nuove forme di business connesse ai migranti che hanno poco o nulla a che fare con l’integrazione hanno preso piede in questi territori, non favorendo in alcun modo lo sviluppo di progetti di accoglienza. Naturalmente questo non è sempre vero: come questo studio dimostra, grandi incidenze di migranti nei territori montani non sono sempre sintomo di fenomeni di sovrasfruttamento in atto o di cattiva gestione delle strutture presenti nei territori, anzi. La presenza dei migranti, in modo particolare nelle comunità più fragili e più colpite da spopolamento, invecchiamento della popolazione e perdita di forza lavoro può aprire, se ben gestita, a possibili potenzialità quali processi di innovazione culturale, rilancio di settori economici in declino o recupero di aree in corso di progressivo abbandono. Scrive infatti Andrea Membretti che «esistono ancora e sempre le Alpi dell’asilo, quelle in grado di accogliere, a fronte di politiche dal basso intelligenti e partecipate, chi non solo fugge, ma, a volte, cerca casa, cerca una nuova patria, una comunità possibile, là dove la rarefazione sociale ha creato dei vuoti e dove la montagna ha bisogno di braccia e di intelligenza per non rovinare a valle, trascinando con sé secoli e secoli di ostinata antropizzazione[3].» Per venire incontro al bisogno di cui parla Membretti, alcuni ricercatori dell’Istituto per lo Sviluppo regionale sono impegnati in progetti (EUMINT, PlurAlps, Volpower) mirati all’integrazione lavorativa e sociale di richiedenti asilo e rifugiati nel territorio dell’Alto Adige.
Quanto emerge dall’integrazione tra i dati statistici e quelli rilevati sul campo è che i processi di accoglienza più virtuosi sono supportati da una forte cooperazione intercomunale o di valle. Montanari per forza dimostra che, con la creazione di un sistema perequativo dell’ospitalità è possibile sopperire ai meccanismi emergenziali delle Prefetture, creando un vero e proprio modello di governance locale. Nel caso studio del comune di Pettinengo, ad esempio, il supporto dell’amministrazione da una parte e il costante dialogo con la comunità hanno consentito a Pace Futuro, un’associazione privata, di implementare un sistema vincente; anche l’esperienza di Ormea, in cui il processo di accoglienza è stato invece gestito dallo stesso Comune, ha ottenuto comunque un risultato positivo. In entrambi i casi, con modalità differenti, una pratica percepita in principio come problematica è diventata vera e propria risorsa per il territorio. Ne deriva, pertanto, che la presenza di un attore locale forte e responsabile del progetto, il coinvolgimento della realtà locale, la creazione di un progetto attento alle necessità degli ospiti, degli autoctoni e che abbia ricadute positive sul territorio siano elementi imprescindibili per il buon funzionamento di un progetto di accoglienza.
«Cambiare direzione è necessario e possibile» scrivono Maurizio Dematteis e Alberto Di Gioia. «Richiede non solo la maturazione delle organizzazioni impegnate nell’accoglienza (fenomeno già in atto), ma anche la capacità della pubblica amministrazione di mettere in discussione le proprie procedure, valorizzando adeguatamente aspetti come l’insieme dei servizi di formazione resi alle persone inserite, il radicamento sul territorio, l’esperienza maturata nel promuovere l’inserimento lavorativo di persone in difficoltà e la capacità di fare rete con altri soggetti della comunità. Caratteristiche, queste ultime, che consentono di preparare le comunità riceventi all’accoglienza, da un lato, e possono portare, come si è visto, alla rigenerazione di risorse comunitarie che rimarrebbero altrimenti inutilizzate, con un impatto positivo sull’intera comunità, dall’altro[4].»
Autore: Clara Raffaele Addamo
References:
[1] Perlik M., Membretti A. (2018), Migration by Necessity and by Force to Mountain Areas: An Opportunity for Social Innovation, Mountain Research and Development (MRD), 38(3):250-264, https://bioone.org/journals/mountain-research-and-development/volume-38/issue-3/MRD-JOURNAL-D-17-00070.1/Migration-by-Necessity-and-by-Force-to-Mountain-Areas/10.1659/MRD-JOURNAL-D-17-00070.1.full
[2] Di Gioia A. (2018), I migranti forzati nella montagna italiana in Dematteis M., Di Gioia A., Membretti A., Montanari per forza, Franco Angeli
[3] Membretti A. (2018), Terra d’asilo, terra di rifugio: quale spazio per i rifugiati nelle Alpi e negli Appennini? in Dematteis M., Di Gioia A., Membretti A., Montanari per forza, Franco Angeli
[4] Dematteis M., Di Gioia A. (2018), Dalla costrizione alla scelta? Le opportunità di radicamento dell’accoglienza nelle aree montane in Dematteis M., Di Gioia A., Membretti A., Montanari per forza, Franco Angeli
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