Biglietti scritti dai bambini di Tadami per augurare un anno senza disastri
Credit: Eurac Research | Paola Fontanella Pisa
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Pronti al peggio
Pratiche, usanze e riti di una comunità giapponese per proteggersi dal rischio di pericoli naturali
A Tadami, nel nord del Giappone, è tradizione che al compimento dei sei anni i bambini regalino a parenti e amici un biglietto scritto da loro per augurare un anno senza disastri. Può sembrare un augurio insolito, ma tra alluvioni, frane e smottamenti, la popolazione di Tadami di disastri ha una certa esperienza. In due mesi di ricerca sul campo, Paola Fontanella Pisa, studiosa di lingue, culture e società orientali e del ruolo che la trasmissione della memoria svolge nella prevenzione delle catastrofi, ha raccolto tutte le pratiche messe in atto dalla piccola comunità montana giapponese.
Nel 2012, poco dopo lo tsunami che ha travolto la centrale nucleare di Fukushima, Sendai e tutta la costa Sanriku, Paola Fontanella Pisa si trovava in Giappone per perfezionare la lingua. Lavorava come volontaria nelle zone colpite e la gente del posto la aveva portata ai margini della città a vedere una pietra memoriale che indicava il livello a cui era arrivato il mare in passato, un monito alle generazioni future: non costruite al di sotto di questo livello. Sotto la pietra, infatti, c’erano solo macerie. “Le persone mi dicevano: ‘Eh, sì, lo sapevamo, cioè, dovevamo saperlo, ma ce ne siamo dimenticati’”, ricorda Paola Fontanella Pisa. “Da lì è nata la mia domanda personale: come mai se la gente è consapevole di vivere in posti dove si rischiano disastri e quindi sviluppa delle conoscenze specifiche, poi non le applica?”.
Dopo la laurea triennale in lingue orientali, Fontanella Pisa ha conseguito un master in World Heritage Studies in Germania e ha svolto uno stage presso l’Unesco a Parigi interessandosi alle riserve di biosfera: aree in cui la conservazione delle risorse naturali si intreccia con i valori culturali della comunità per il loro sviluppo sostenibile. Arrivata a GLOMOS, ha iniziato a occuparsi della salvaguardia delle aree di montagna ed è nata l’idea di avviare un progetto – che è anche il tema del dottorato di ricerca che sta svolgendo con la Tohoku University di Sendai – in una regione montuosa soggetta a rischi di disastri, possibilmente in una riserva di biosfera Unesco. Tadami, un paese della prefettura di Fukushima, nel nord del Giappone, combinava tutte queste caratteristiche. Qui Paola Fontanella Pisa ha vissuto a stretto contatto con la comunità, ospite di una famiglia composta da quattro generazioni: dai 2 agli 87 anni, in dieci sotto lo stesso tetto.
A Tadami già dopo pochi giorni tutti la conoscevano. Il paese è composto da diverse frazioni, in totale ci abitano circa 4mila persone. Ci si arriva in sei, sette ore di treno da Tokyo. Molti sono anziani. “Non ho mai parlato con tante persone ultranovantenni in così poco tempo”, sorride Fontanella Pisa. La comunità è composta da coltivatori di riso e di pomodori a fondovalle e persone – sempre meno ormai, in gran parte anziani – che lavorano in montagna: raccolgono erbe selvatiche e lavorano il legno per creare prodotti di artigianato come cesti o tessuti. A Tadami c’è una tradizione molto antica di utilizzo delle risorse di montagna e di gestione del territorio anche in funzione dell’agricoltura: un caso studio perfetto per capire come la comunità si relazioni con l’ambiente circostante.
Il satoyama: il rapporto con la montagna
I giapponesi hanno un termine per esprimere questa condizione di convivenza e interdipendenza con il territorio montano: satoyama, unione di sato (villaggio) e yama (montagna). In Giappone le montagne sono molto ripide, hanno una vegetazione fittissima, possono crollare nella stagione dei monsoni. Offrono servizi fondamentali per la vita in pianura, come l’acqua per irrigare le risaie e il legno per costruire le case, ma allo stesso tempo sono poco accessibili e questo incute una sorta di timore, di rispetto. Nel satoyama esistono divinità della natura che segnano una distinzione tra il regno umano del villaggio da quello divino della montagna su cui l’essere umano non ha alcun potere. Le persone accedono comunque alla montagna per raccogliere erbe o legna, ma lo fanno rispettando delle pratiche: puliscono il santuario della dea yama no kamisama, che delimita l’accesso alla montagna, fanno un’offerta, recitano una preghiera e – in passato – usavano l’accortezza di adottare un dialetto specifico, una lingua che si parla solo in montagna. Attraverso questo rituale esprimono riconoscenza nei confronti della montagna per le risorse che offre e contemporaneamente prendono coscienza di entrare in un territorio difficile per cui si affidano alla divinità.
“Ho chiesto alle persone di Tadami che significato dessero a queste pratiche e le hanno definite ‘preparativi del cuore’, kokoro no jumbi spiega Fontanella Pisa. “Sono pratiche nate quando non esistevano sistemi di allerta precoce, cellulari o altre misure di gestione dei disastri, anche le conoscenze scientifiche erano scarse, quindi chi andava in montagna pensava ‘Ne uscirò?’. A GLOMOS lavoriamo molto sui rischi specifici e continuiamo a indagare le caratteristiche peculiari di chi vive in zone di montagna”.
La dea della montagna
A Tadami yama no kamisama, la dea della montagna, è una donna molto brutta e invidiosa della bellezza delle altre donne. In passato, per paura che la loro presenza scatenasse disastri, in montagna le donne non ci potevano andare. Durante il Festival della neve si chiede alla yama no kamisama un buon raccolto e la protezione dalle catastrofi che potrebbero danneggiarlo. “Ho trovato curioso che questa cerimonia si svolga in inverno e non all’avvio della stagione agricola, poi ho capito come funzionano i ritmi della natura a Tadami. Per sei mesi l’anno i contadini lavorano senza sosta nei campi, negli altri sei sono quasi a riposo per via della neve che arriva anche a quattro metri di altezza. È il momento in cui si dedicano all’artigianato o alla lavorazione dei prodotti locali a base di riso, come alcolici o snack di riso soffiato, e hanno più tempo per stare assieme e intrattenersi”, racconta Paola Fontanella Pisa.
Negli ultimi anni, però, la neve è diminuita anche a Tadami. “Ai contadini non sembrava vero! Se la neve si scioglie prima non devono fare le corse per preparare i campi per la piantagione e pulire i canali di irrigazione che in inverno si riempiono di fango, erba, di tutto… Lo so perché ho aiutato anche io a pulirli, mentre spalavo facevo domande”, ride Paola Fontanella Pisa. Il risvolto negativo è che l’acqua di disgelo può non essere abbastanza per coltivare il riso. “Avevo fissato un’intervista con un contadino che all’ultimo momento la ha disdetta. ‘Scusa, ma finalmente piove – mi ha detto – devo approfittarne per arare il campo finché c’è acqua’ ed è partito con il trattore sotto la pioggia”.
Tutti si conoscono, tutti sanno come aiutare
A Tadami pioggia, monsoni e tifoni storicamente hanno causato molti danni. Pochi mesi dopo lo tsunami del 2011 c’è stata una grande alluvione. La diga Tagokura, costruita prima del paese nel secondo dopoguerra, rischiava di collassare. La ditta che gestiva la centrale idroelettrica aveva deciso di aprire tutti i bocchettoni di emergenza e rilasciare una quantità d’acqua enorme nel fiume. Non c’erano alternative, ma i danni sono stati incalcolabili, la rete ferroviaria è stata interrotta per dieci anni. “L’allora sindaco mi ha raccontato che erano stati mandati degli elicotteri per far evacuare gli abitanti di un piccolo villaggio completamente isolato, rimasto senza acqua e corrente, ma loro si sono rifiutati di andarsene. Sono rimasti perché a livello di comunità erano attrezzati per gestire la situazione. Avevano, e hanno tuttora, dei depositi con muri molto spessi e un sistema di porte che permettono di tenere al sicuro tutte le cose di valore: il raccolto, le verdure in salamoia, i materassi e le lenzuola”, racconta Fontanella Pisa.
A Tadami tutti si conoscono e sanno di poter contare l’uno sull’altro: sanno dove abita un anziano o se c’è qualcuno che ha particolare bisogno di aiuto. Hanno un senso molto forte di responsabilità collettiva. Ad esempio, due volte all’anno tutti assieme puliscono i canali di irrigazione delle risaie. Lo fa chi ha venduto i propri campi a una azienda agricola e ora ci lavora da dipendente, ma anche chi non ci lavora proprio. “Viene da chiedersi perché, visto che poi il raccolto non va a loro” riflette Fontanella Pisa. “Il motivo è che questa attività viene svolta collettivamente per accrescere la consapevolezza della gestione dei disastri”. Questi canali di irrigazione sono gli stessi che passano di casa in casa e da cui la gente attinge in caso di incendio – le case sono di legno e riscaldate con una stufetta – ma servono anche per regolare il flusso d’acqua in caso di piogge forti ed evitare alluvioni. Si puliscono a livello comunitario perché si condividono le responsabilità per la sicurezza del villaggio. “Sono consapevoli dei rischi che si possono verificare e sanno come fronteggiarli. Quando facevo domande sulla prevenzione delle catastrofi mi sapevano rispondere senza troppi problemi. Per esempio, tutti mi hanno parlato con orgoglio delle suigen no mori, le foreste di faggio che avendo radici sottili e profonde hanno una capacità unica di trattenere l’acqua. Questo le rende preziose per l’agricoltura, ma anche nella prevenzione delle catastrofi perché evitano frane e smottamenti. Per me è stato molto interessante constatare come questa fosse una conoscenza diffusa”, racconta Paola Fontanella Pisa.
Non è mai troppo presto per prevenire
Quella dei disastri è una consapevolezza che si forma fin da piccoli. A Tadami è tradizione che i bambini che compiono sei anni distribuiscano a familiari e amici un foglio di carta con la scritta hi no youjin “attenzione al fuoco” come augurio che i disastri con colpiscano i propri cari. In passato questa usanza era nata per proteggersi dagli incendi, oggi il rischio di incendi è meno frequente, ma la tradizione è rimasta estendendosi alle catastrofi in generale. “In ogni casa, ma anche nei negozi, bar, ristoranti, nel piccolo supermercato di Tadami sono appesi questi cartelli propiziatori. Li scrivono i bambini di sei anni perché nella scrittura giapponese i kanji, cioè i caratteri, possono essere letti in modi diversi e rokusai (che significa bambino di sei anni) può essere letto anche musai (che significa senza disastri). Per via di questa doppia lettura l’età di sei anni viene considerata propiziatoria per la prevenzione dei disastri. A forza di vederli, alla fine riuscivo anche a riconoscere la scrittura e indovinare chi li avesse scritti”, scherza Paola Fontanella Pisa.
Preoccupazioni diverse, visioni diverse
Raccogliere tutte queste tradizioni, esperienze, conoscenze e poi restituirle alla comunità in modo che possano essere integrate nei processi di adattamento ai cambiamenti climatici è l’obiettivo del progetto di GLOMOS a Tadami. Attraverso una serie di workshop organizzati con il supporto di ricercatori della Osaka University e della Newcastle University, Paola Fontanella Pisa ha raccolto le esperienze della popolazione per creare una mappa spazio-temporale dei disastri che hanno colpito il villaggio. I cittadini hanno poi elencato le pratiche di gestione e di adattamento ai cambiamenti climatici che conoscono specificando a quale livello amministrativo vengano implementate. “Sono stati loro a definirli: dal livello nazionale, a quello di provincia, prefettura, villaggio… fino all’individuo. Il mio obiettivo era quello di coinvolgere la popolazione e creare assieme il workshop, lavorare sui temi che per loro sono prioritari. C’è stata molta partecipazione, più di quanto mi aspettassi. Da parte mia ho cercato di non pesare troppo sul poco tempo libero che i contadini hanno a disposizione e ho organizzato un momento che potesse essere piacevole per loro. Una sera, dopo il lavoro nei campi, ho portato cibo e bevande. Abbiamo cenato assieme all’aperto e usato un furgone per appenderci cartelloni e post-it”, ride Paola Fontanella Pisa.
Ora si tratta di analizzare tutte le informazioni raccolte per capire come le pratiche di gestione e prevenzione dei disastri interagiscono tra loro e in relazione al territorio e alle necessità della popolazione. Qualcosa è già emerso. Durante il workshop nei campi uno dei contadini ha espresso preoccupazione per la proposta del governo nazionale di usare le risaie come cuscinetto per le alluvioni. “Per un contadino perdere il raccolto equivale a perdere tutto. Quando si parla di disastro bisogna anche specificare in relazione a cosa e per chi. Le autorità, che hanno una responsabilità nei confronti della popolazione, hanno delle priorità che non sempre combaciano con quelle dei contadini preoccupati per il proprio sostentamento. Se Tadami non offrisse più di che vivere, la gente sarebbe costretta a spostarsi in città. Entrano in gioco dinamiche complesse a cui si sommano la fiducia nel progresso tecnologico, la rarità di eventi veramente dirompenti… e forse questo spinge ad accettare compromessi”, riflette Fontanella Pisa pensando alla pietra memoriale lungo la costa est del Giappone.