Per la seconda volta, Eurac Research con l’Open Research Award riconosce il lavoro scientifico che contribuisce a rendere la ricerca più collaborativa e trasparente – connettendola più da vicino alla società. Le esperte Maria Bellantone e Liise Lehtsalu spiegano cosa è stato fatto finora, quali sono i compiti che ci attendono e perché gli articoli scientifici non dovrebbero essere l’unico metro di valutazione dei risultati della ricerca.
La scienza aperta – la cosiddetta “open science” – riguarda molti aspetti: ne fanno parte la condivisione dei dati e la divulgazione dei metodi, ma anche la partecipazione della società. Esiste una definizione generalmente accettata?
Maria Bellantone: No, ci sono diverse definizioni. Tutte però contengono gli stessi valori centrali. La cooperazione è uno di questi: cooperazione all’interno delle discipline, attraverso i confini disciplinari e che include altri sistemi di conoscenza, e coinvolgimento delle parti interessate e dei non addetti ai lavori. Non si tratta più solo di comunicare i risultati, ma di coinvolgere le persone nel processo di ricerca che porta a nuove conoscenze. Anche l’inclusività è quindi un valore importante. L’accessibilità ne è un altro: se la scienza deve essere trasparente, devono essere resi noti anche i metodi e i dati, non solo il risultato finale. Ciò significa che anche i metodi, i protocolli, i dati, il codice, i materiali sono prodotti preziosi della ricerca, e anch’essi devono essere accessibili a tutti e a tutte. L’open science va quindi ben oltre il concetto originario del libero accesso alla letteratura scientifica.
In relazione alla open science, si parla talvolta di “rivoluzione”.
Liise Lehtsalu: Un termine più appropriato sarebbe evoluzione. La scienza si è sempre evoluta. Il passaggio alla open science non avviene da zero, ma nel contesto della digitalizzazione, in un mondo sempre più connesso in rete. Un altro fattore importante è che la quantità di dati prodotti dalla ricerca è aumentata enormemente. La gestione di questi dati pone quindi nuove sfide a chi lavora nella ricerca: deve essere più continua, coerente e pianificata con precisione. Tutto ciò richiede un approccio diverso, una nuova consapevolezza.
"Se valutiamo il lavoro di ricercatori e ricercatrici solo in base agli articoli pubblicati, tutti i loro sforzi andranno comunque verso la pubblicazione del prossimo articolo sottoposto a peer-review"
Liise Lehtsalu
Tutto questo è stato accettato dalla comunità scientifica o ci sono ancora settori che nutrono delle riserve?
Lehtsalu: Ho l’impressione che stiamo lentamente arrivando al punto in cui la maggior parte di chi lavora nella ricerca ha sentito parlare di open science, la riconosce e la pratica come e quando può. Se inizialmente c’erano differenze tra discipline e generazioni, studi recenti hanno dimostrato che non è più necessariamente così: oggi le generazioni più mature mostrano tanto impegno nella open science quanto quelle più giovani.
Bellantone: Anche chi finanzia la ricerca ha svolto un ruolo importante in questo senso, poiché hanno appoggiato e promosso l’open science. La Commissione europea è stata decisamente attenta ad ancorare alcune pratiche di open science nella sua politica di finanziamento. Quindi, chiunque sia finanziato da programmi europei deve inevitabilmente adottare queste pratiche. Se c’è qualcosa che inibisce ricercatrici e ricercatori, non è disinteresse o scetticismo, ma la quantità di lavoro e di tempo in più che richiede. Ad esempio, gestire i dati della ricerca e renderli idonei alla condivisione richiede molto tempo e competenze.
Lehtsalu: È qui che entra in gioco l’importante aspetto del riconoscimento. Se valutiamo il lavoro di ricercatori e ricercatrici solo in base agli articoli pubblicati e non consideriamo se curano i dati o coinvolgono la società nella loro ricerca – ad esempio attraverso progetti di citizen science che richiedono un’incredibile quantità di tempo – non possiamo aspettarci che ci investano tempo. Tutti i loro sforzi andranno comunque verso la pubblicazione del prossimo articolo sottoposto a peer-review. Ancora una volta, la open science – per tutti i suoi valori – non cresce nel vuoto.
È per questo che Eurac Research ha creato l’Open Research Award?
Bellantone: Esatto, vogliamo premiare chi lavora nella ricerca per i loro sforzi nel rendere la scienza più aperta. Allo stesso tempo, è un invito a ripensare il loro ciclo di ricerca, a considerare se le pratiche di open science sono state, o potrebbero essere, incorporate. A livello europeo, è in corso un’importante iniziativa per valutare le prestazioni di ricercatori e ricercatrici in modo più completo, utilizzando parametri non solo quantitativi e basati sulle metriche di pubblicazione. Si chiama CoAra, acronimo di Coalition for Advancing Research Assessment. Su piccola scala, anche noi possiamo fare dei passi in questa direzione e, così facendo, promuovere un cambiamento culturale.
Lehtsalu: Per quanto riguarda questo cambiamento culturale, c’è un’altra componente importante: chiedendo a chi si occupa di ricerca di riflettere sul loro lavoro, spesso li aiutiamo a prendere coscienza del fatto che stanno utilizzando pratiche di open science.
"Nel 2022 oltre il 70% dei documenti di Eurac Research sottoposti a peer review sono stati ad accesso libero"
Maria Bellantone
L’Open Research Award è una bella opportunità per far mettere in luce le nostre ricercatrici e i nostri ricercatori. Ma non è l’unico modo in cui Eurac Research sostiene la scienza aperta. Quali altre attività sono in corso?
Bellantone: Dal 2019 abbiamo adottato una open access policy. Una delle misure del suo successo è che nel 2022 oltre il 70% dei documenti di Eurac Research sottoposti a peer review erano a libero accesso. Dal 2021 Eurac Research dispone anche di un fondo per l’open access per nostri ricercatori e ricercatrici che non hanno fonti di finanziamento alternative per le loro pubblicazioni, compresi i libri. Un altro elemento importante della policy è il Bolzano Institutional Archive (BIA). Si tratta di un archivio online che raccoglie non solo articoli scientifici e libri, ma anche altri lavori come le relazioni di progetti scientifici, per i quali il BIA fa sia da piattaforma di pubblicazione che di distribuzione, dove questi contenuti diventano reperibili e consultabili grazie a un repository digitale all’avanguardia.
Lehtsalu: Qui si è sviluppata una vera e propria cultura. Lo dimostra, ad esempio, il fatto che Eurac Research è membro della Italian Reproducibility Network, che mira ad aumentare l’affidabilità e la trasparenza della ricerca scientifica - e l’iniziativa non è arrivata dal Research Support, ma da scienziate e scienziati. Anche la seconda strategia di open science che abbiamo appena sviluppato, la nostra “Research Data and Source Code Management Policy”, si basa su questa cultura. Basata sulla convinzione che i dati e il software della ricerca siano essi stessi risultati preziosi del nostro lavoro, la Research Data and Source Code Management Policy mira a garantire che i dati e il codice sorgente siano gestiti in linea con le migliori pratiche internazionali. La politica è stata sviluppata negli ultimi due anni consultando strettamente tutti i nostri istituti e centri. Ma ora inizia la parte difficile: l’attuazione.
Cosa significa?
Lehtsalu: Ricercatrici e ricercatori non sono data manager né data steward. È per questo che spesso hanno bisogno non solo di una guida, ma anche di un supporto attivo.
Ciò significa che dobbiamo creare un sistema di supporto che renda l’obiettivo dei dati FAIR una realtà. FAIR è uno standard che si riferisce alla possibilità di rendere i dati reperibili, accessibili, interoperabili e riutilizzabili. Per esempio, abbiamo bisogno di archivi FAIR per i dati. Finora abbiamo due archivi interni, ma sono specifici per ogni disciplina: l'Environmental Data Portal per i dati spaziali e il CLARIN Center di Eurac Research per i dati linguistici. Anche la biobanca CHRIS è in linea con i principi FAIR.
Ma c’è ancora molto lavoro da fare. Abbiamo bisogno di esperti che ci aiutino a trasformare i dati grezzi in un insieme di dati strutturati con buoni metadati e a memorizzarli in formati interoperabili in archivi dove i dati potranno essere trovati, recuperati e utilizzati più volte in futuro.
Il che è anche nell’interesse della sostenibilità?
Bellantone: Naturalmente. Se i dati raccolti a caro prezzo vengono messi a disposizione di altri ricercatori e altre ricercatrici per essere utilizzati e riutilizzati, si risparmiano risorse. Il problema dello spreco della ricerca potrebbe essere affrontato, mitigato e – infine – superato.
Lehtsalu: All’inizio abbiamo parlato dei valori che costituiscono il nucleo della open science: anche la sostenibilità è uno di questi. I dati della ricerca sono anche una delle dieci priorità dell’Eurac Research Sustainability Plan, il nostro piano di sostenibilità.
Maria Bellantone e Liise Lehtsalu
Maria Bellantone ha studiato chimica a biotecnologie in Italia e ha un dottorato di ricerca in scienza dei materiali dall’Imperial College di Londra. Ha lavorato nel settore dell’editoria scientifica nel Regno Unito e nei Paesi Bassi. Dal 2020 vive a Bolzano, dove lavora nel Research Support Office di Eurac Research.
Liise Lehtsalu è storica di formazione con dottorato in storia delle donne della prima età moderna. Dal 2015 lavora nel Research Support Office di Eurac Research, dove si occupa di open science e, più in generale, di ricerca e innovazione responsabili.
L'Open Research Award
L’Eurac Research Open Research Award valorizza i risultati ottenuti da ricercatrici e ricercatori che si impegnano attivamente per rendere la ricerca più collaborativa ed equa e migliorano la condivisione e la diffusione delle conoscenze.
I vincitori dell’edizione 2023 dell’Eurac Research Open Research Award sono:
Montagne vitali
Team: Federica Maino, Federica Benatti, Renzo Provedel.
Il progetto “Montagne vitali” ha coinvolto tutta la comunità di Tre Ville, un comune di 1.374 abitanti nel Trentino occidentale, nell’elaborazione di un piano di sviluppo locale. Il team di ricerca ha lavorato con cittadini, amministratori e operatori economici per rendere la comunità protagonista attiva del proprio sviluppo e fornirle gli strumenti per valorizzare le proprie potenzialità, i propri valori e la propria identità. Sarahanne Field, dell’Università di Leida e membro della giuria, commenta: “Il progetto segue i principi di responsabilità, rispetto e rendicontazione caratterizzati da una forte enfasi sulla collaborazione, la partecipazione e l’inclusione”.
Biobanca di Eurac Research
Team: Alessandro De Grandi + Istituto di biomedicina.
I campioni biologici e i dati dello studio CHRIS condotto dall’Istituto di biomedicina in val Venosta sono conservati in una biobanca open source all’ospedale di Bolzano. Chiunque può richiedere accesso ai dati sottoponendo un progetto di ricerca. I dati della biobanca, inoltre, sono a disposizione del sistema sanitario locale, che può trarne informazioni per implementare le politiche sanitarie. Barbara Heinisch dell’Università di Vienna e membro della giuria, dichiara: “I dati raccolti nel database consentono trasparenza e riproducibilità. La gestione attenta dei dati dei partecipanti allo studio dimostra la responsabilità dei ricercatori”. Per sapere come funziona una biobanca leggi l’articolo: “Ecco a cosa serve una biobanca”
Alpine Drought Observatory
Team: Peter Zellner, Mohammad Alasawedah, Michele Claus, Bartolomeo Ventura, Alexander Jacob (Istituto per l’osservazione della Terra), Thomas Iacopino (Communication), Luca Cattani (ICT), Andrea Vianello (Center for Sensing Solutions), Giacomo Bertoldi (Istituto per l’ambiente alpino).
Alpine Drought Observatory è uno strumento online che fornisce una panoramica della siccità nella regione alpina attraverso mappe e grafici. Comprende dati satellitari, meteorologici e idrologici e permette di avere un quadro della situazione siccità nelle Alpi e di seguirne l’andamento nel tempo. I dati di tutti i paesi alpini sono armonizzati e ottimizzati in risoluzioni elevate. Barbara Heinisch afferma: “L’Osservatorio è chiaramente incentrato su un’infrastruttura, dati e codici aperti. La piattaforma garantisce un beneficio collettivo per i ricercatori e le altre parti interessate, compreso il pubblico. Permette il riutilizzo interdisciplinare dei dati e la loro conservazione sostenibile”. Leggi l'intervista con Peter Zellner: https://www.eurac.edu/it/magazine/insieme-nel-cloud