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Valanghe: percentuale di persone sopravvissute aumentata del dieci per cento dal 1994

L’analisi di quarant’anni di dati mostra l’importanza dell’intervento dei compagni di escursione

by Laura Defranceschi

Negli ultimi quarant’anni la percentuale di persone sopravvissute agli incidenti da valanga è aumentata del dieci per cento, con una netta riduzione del tempo di seppellimento. Tuttavia un nuovo studio mostra, sulla base di dati raccolti in Svizzera, che il lasso di tempo in cui la probabilità di sopravvivenza è più alta è diminuito da 18 a dieci minuti, presumibilmente perché è cambiata la densità della neve. Il primo soccorso da parte delle persone che partecipano alla escursione diventa dunque cruciale.

Da una parte moderni apparecchi per la ricerca in valanga (ARVA), pale e sonde ormai in uso in ogni escursione scialpinistica e corsi ben frequentati, dall’altra parte squadre di soccorso organizzate in modo sempre più efficiente: tutto ciò ha contribuito a far sì che le vittime sepolte vengano trovate e salvate più rapidamente. Il tasso di sopravvivenza delle persone sepolte da valanga è così aumentato negli ultimi quarant’anni. “Fino al 1990, sopravviveva il 43,5 per cento delle vittime sepolte, ora il 53,5 per cento”, spiega Simon Rauch, autore principale dello studio, medico d’urgenza e ricercatore di Eurac Research. “Abbiamo analizzato i dati dal 1981 al 2020 e li abbiamo confrontati con il principale studio di riferimento, uscito su ‘Nature’ nel 1994, che copriva un periodo di dieci anni”. Altri risultati della nuova analisi mostrano che anche la probabilità di sopravvivenza per le sepolture a lungo termine (oltre 130 minuti) è aumentata dal 2,6 al 7,3 per cento. Il tempo medio di salvataggio si è ridotto complessivamente da 45 a 25 minuti: da 15 a dieci minuti quando intervengono le persone che partecipano all’escursione, da 153 a 90 minuti quando interviene il soccorso organizzato. Tuttavia lo studio mostra anche come il lasso di tempo in cui la probabilità di sopravvivenza è superiore al 90 per cento si è ridotta da 18 a dieci minuti. “Nel 1994 abbiamo classificato la curva di sopravvivenza in diverse fasi e abbiamo scoperto per la prima volta che la prima fase, in cui il tasso di sopravvivenza è molto elevato, durava fino a 18 minuti. Questo dato, che era ormai diventato un riferimento a livello mondiale, deve oggi essere rivisto al ribasso”, spiega Hermann Brugger di Eurac Research, autore dello studio del 1994 e coautore dello studio attuale. Non sono ancora state provate le ragioni di questa drastica riduzione della curva di sopravvivenza, ma si avanzano ipotesi. “I cambiamenti climatici e altri fattori potrebbero aver aumentato la densità della neve e la difficoltà a respirare attraverso la neve è direttamente proporzionale alla densità”, spiega Rauch. Questa considerazione però ha ancora bisogno di dati per essere confermata. “Il tempo diventa un fattore decisivo perché dieci minuti sono davvero pochi. Per questo deve essere molto chiaro che le chance di sopravvivenza triplicano se sono i compagni di escursione a diseppellire la vittima, prima dei soccorsi organizzati”, insiste Rauch. Allo stesso tempo lo studio mostra che negli ultimi decenni anche misure preventive come i servizi di allerta valanghe, la formazione per chi pratica scialpinismo, le tecniche di localizzazione e salvataggio delle vittime sepolte e gli interventi medici d’emergenza hanno ridotto significativamente la mortalità.

L’Istituto svizzero WSL per lo studio della neve e delle valanghe ha fornito i dati per lo studio. Il biostatistico Markus Falk ha contribuito all’analisi dei dati utilizzando un modello statistico complesso.

Link allo studio pubblicato su JAMA Network Open: https://jamanetwork.com/journals/jamanetworkopen/fullarticle/2824053


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