Donne, migrazione e gender gap sul lavoro in Alto Adige
Perché in luoghi dove il tasso di disoccupazione è uno dei più bassi in Italia, se non in Europa, esiste ancora un gender gap nel mondo del lavoro? Cos’è che impedisce l’entrata nel mercato del lavoro delle donne, e, in particolare, di quelle con un background migratorio? Un’analisi intersezionale che s’incentra su come determinati fattori e condizioni sociali si rafforzano a vicenda e creano situazioni di svantaggio e discriminazione ci può aiutare a trovare delle risposte.
Le ultime statistiche ci dicono che l’Alto Adige ha uno dei tassi di disoccupazione più bassi d’Italia, pari al 2,5 per cento nel quarto trimestre del 2022. Ci indicano inoltre che il 69,9 per cento delle donne qui ha un lavoro – il valore più alto registrato negli ultimi cinque anni. Tuttavia, questi dati, sebbene promettenti, devono essere letti in combinazione con altri, ad esempio quelli sempre prodotti da ASTAT a livello provinciale sul cosiddetto “gender pay gap” nel lavoro dipendente, ossia la differenza fra quanto guadagnano un uomo e una donna a parità di mansioni e di ore lavorate (il cosidetto “full time equivalent”). Nel 2021, il gender pay gap (divario retributivo di genere) era pari a 29,5 per cento, nonostante molte differenze tra i vari settori. Ciò comunque significa che le donne tendenzialmente guadagnano un terzo in meno degli uomini.
Questo “gap” forma, assieme ad altri fattori, il cosiddetto “gender gap” (divario di genere) nel mondo del lavoro, che è una realtà perdurante e onnipresente nonostante più di un secolo di lotte, riconoscimenti di diritti di uguaglianza e adozione di politiche a tutti i livelli, dall’Unione europea a livello locale.
Ma di cosa parliamo? Non si tratta solo di una lacuna nel numero di donne con un’occupazione retribuita, ma anche di sistemi di cosiddetta segregazione sia orizzontale, sia verticale. La prima si riferisce alla visione di determinate occupazioni come quelle tipicamente svolte da donne, ad esempio, nei settori dell’istruzione o dei servizi di pulizie. La seconda riguarda tutte quelle barriere che le donne ancora incontrano nel fare carriera e nell’arrivare a posizioni di vertice sia nel settore pubblico che in quello privato.
Nel caso delle donne lavoratrici che hanno un background migratorio, oltre a essere state quelle più colpite dalla pandemia, sono spesso vittime di discriminazione di tipo intersezionale a causa del loro trovarsi nel nesso tra genere e etnicità. Ciò è particolarmente evidente nel mondo del lavoro. Inoltre, molte sono impiegate in attività lavorative informali, ossia senza regolare contratto di lavoro e per questo “spariscono” dalle statistiche e vengono rese invisibili.
Uno sguardo intersezionale sull’Alto Adige
Per capire cosa avvenga nel mondo del lavoro altoatesino per le donne lavoratrici che hanno un background migratorio si è chiesto a 16 enti che da tempo offrono sul territorio locale servizi di assistenza e di promozione della parità di genere come genere ed etnicità operassero fra di loro e che influenza avessero altri fattori e condizioni sociali, per esempio l’età, il vivere in un contesto urbano piuttosto che rurale, la condizione di disabilità, una situazione di violenza di genere.
Le donne con cui questi enti lavorano vengono da diverse parti del mondo, inclusi diversi paesi africani, latinoamericani e dell’Est Europa. Alcune sono state vittime di tratta di esseri umani e altre di violenza di genere. Alcune di queste, specialmente alcune donne trans, esercitano la professione di sex worker, letteralmente per pagare gli esorbitanti affitti di Bolzano.
Nonostante ciò, vogliono imparare sia l’italiano che il tedesco, trovare un lavoro e dimostrano livelli di resilienza che, secondo gli operatori e le operatrici intervistate, sono davvero poco comuni.
Tuttavia, queste donne faticano ad accedere al mercato del lavoro e, nei casi in cui ci riescano, devono affrontare precarietà e accettare contratti irregolari o condizioni di lavoro insoddisfacenti.
La tabella sottostante ci aiuta a capire nel dettaglio quali fattori e condizioni sociali pesano maggiormente quando genere e etnicità si intersezionano nel mondo del lavoro. Tramite un’analisi tematica delle trascrizioni delle interviste, i numeri riportati in tabella corrispondono a tutte le volte che le persone intervistate si siano riferite a uno o più fattori. Pertanto, se un fattore ha un numero alto e si avvicina al colore rosso, significa che ha un peso maggiore.
Infatti, le persone intervistate hanno riferito che ciò che incide maggiormente sull’accesso al lavoro delle donne con un background migratorio sono le situazioni di violenza di genere, la loro limitata conoscenza delle lingue – competenza molto rilevante in aree multilingui come l'Alto Adige, il ruolo dei pregiudizi e degli episodi di razzismo, il loro minore livello di autonomia o abilità di agire (agency), il ruolo delle istituzioni, delle politiche e delle leggi che possono sia sostenere, sia ostacolare tale accesso al lavoro a causa di vincoli burocratici, la mancanza di conoscenza e di formazione o di protocolli operativi, le loro preoccupazioni nel conciliare lavoro e famiglia e il ruolo delle stesse associazioni, che spesso le sostengono in percorsi di empowerment.
Altri fattori chiave sono la divisione dei ruoli in famiglia e le origini delle donne. Avvengono anche frequenti episodi di sessismo. Infine, pesano l’età delle donne, il loro livello di istruzione, il loro aspetto e la loro classe (economica).
Anche quando si trova un lavoro, prevalgono i pregiudizi e vengono riportati molti episodi di razzismo; le donne si preoccupano nuovamente della conciliazione tra lavoro e famiglia; l’aspetto e l’abbigliamento delle donne gioca un ruolo significativo; e spesso vi sono episodi di sfruttamento del lavoro (per esempio misera retribuzione oraria, ore extra non pagate). Per quanto riguarda le donne della cosiddetta “seconda generazione”, ossia con background migratorio ma nate e/o cresciute in Alto Adige, nel campo del lavoro, tre fattori si rivelano fondamentali: i pregiudizi e i frequenti episodi di razzismo, il loro aspetto fisico (abbigliamento incluso) e la violenza di genere, che spesso si concretizza in matrimoni forzati che le portano fisicamente in un altro paese o le confinano alle loro responsabilità domestiche.
Prossimi passi
Colmare il divario occupazionale di genere e affrontare la dimensione specifica del gender pay gap sono tra le priorità della strategia per l’uguaglianza di genere dell’Unione europea per il periodo 2020-2025. Le pari opportunità in termini di condizioni di lavoro e prospettive di carriera sono fondamentali per il piano d’azione dei diritti sociali a livello europeo. Nel marzo 2023, l'Organizzazione internazionale del lavoro ha lanciato il suo indicatore Jobs Gap per tracciare le condizioni che causano la disoccupazione e ha segnalato ancora una volta come il divario occupazionale di genere continui a essere cruciale.
In Alto Adige, le persone intervistate nell’ambito del progetto InGEPaST hanno suggerito di creare nuove opportunità di accesso al mercato del lavoro dando priorità alle donne vittime di violenza di genere e di tratta di esseri umani; di stabilire forme di occupazione temporanea per chi è sprovvisto di permesso di soggiorno in attesa di chiarire la propria condizione giuridica; di decostruire pregiudizi e stereotipi a partire dalla scuola dell’infanzia sino ad arrivare a tutti i livelli di enti locali e aziende private; di cambiare il paradigma degli orari di lavoro di alcune occupazioni per assecondare al meglio le esigenze di conciliazione lavoro e famiglia. Altri risultati saranno inclusi nel rapporto finale del progetto InGEPaST.
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