Proiettare la gestione dei beni comuni montani nel futuro attraverso comunità attive e la co-creazione del sapere
Un secolo fa non c’era alcun dubbio: per sopravvivere in territori fragili come quelli di montagna le cose andavano fatte insieme. Con la comunità si governavano i boschi, si tenevano in ordine i canali, si organizzavano i servizi per la collettività. Che cosa sta succedendo a questo modo di gestire beni e risorse? La storia di cinque giovani e di due paesi montani ci invita a riflettere sul ruolo che la gestione collettiva dei beni e risorse può avere oggi.
La gestione collettiva delle risorse naturali è uno degli elementi che rendono viva la montagna, i suoi fragili ecosistemi umani e naturali. Gestire in modo collettivo, in concreto, significa monitorare la qualità dei boschi ed occuparsi della manutenzione di sistemi irrigui, pascoli, sentieri, malghe. Ma non solo, si tratta anche di preservare tutto ciò che rende necessaria e viva una comunità di montagna: i legami sociali, le tecniche di allevamento e produzione, la conoscenza profonda del territorio, la cura dei sentieri e delle strutture ricettive di montagna. La lista continua, perché fare insieme permette di raggiungere molteplici obiettivi, come l'organizzazione di un evento culturale, l’apertura dell’emporio del paese, o addirittura l’ideazione, produzione e promozione di un prodotto locale. Infine, non dimentichiamo la necessità sempre più presente a causa degli effetti del cambiamento climatico di cooperare per affrontare le difficoltà comuni come frane, siccità o allagamenti.
Come ampiamente documentato e teorizzato dalla studiosa Elinor Ostrom, premio Nobel per l’economia nel 2009, la gestione collettiva di beni e risorse è un modello che si è sviluppato in tanti territori in tutto il mondo in forme organizzative molto diverse tra loro. È tipica di zone fragili e difficili da abitare per le persone, dove esistono delle risorse che bisogna gestire in maniera collettiva anziché privata, affinché la vita per gli e le abitanti del territorio sia garantita. Gli studi di Ostrom e di molti altri dopo di lei hanno definito “commons” la gestione collettiva delle risorse. Per usare le parole della sociologa femminista tedesca Mara Mies, la cura delle risorse comuni, dei bisogni, delle idee era (ed è ancora?) ciò che rendeva (e rende?) gli abitanti di uno stesso luogo comunità. Essi condividono risorse che erano (e sono?) necessarie per la vita e vanno quindi gestite collettivamente.
Le forme e istituzioni tradizionali di gestione collettiva delle risorse, servizi, beni e saperi di comunità sono però davanti a un bivio: innovarsi o essere dimenticate
Molte di esse, da sole, non hanno gli strumenti per far fronte a dei fenomeni che hanno, sì, effetti locali, ma che partono da molto lontano: l´economia è sempre più connessa e globalizzata, la domanda turistica è in forte aumento, la richiesta di materiali da costruzione, di energia prodotta con fonti rinnovabili (es. acqua e legno) sta aumentando.
Cambiamenti sistemici e interconnessi su diverse scale
Dato rilevante quando si parla di commons montani, che si sono evoluti nel corso dei secoli come sistemi per la gestione di risorse agro-silvo-pastorali, è la terziarizzazione dell’economia. Questo significa che sempre meno persone lavorano in agricoltura. Infatti, il numero di aziende agricole nelle regioni e provincie alpine italiane è in calo in media del 19% rispetto al 2010, con l’eccezione dell’Alto Adige, dove il calo è stato solo dell´1%.
Nonostante la tendenza generale alla concentrazione della proprietà agricola (sempre meno aziende di dimensioni crescenti), emergono con crescente vitalità piccole produzioni che si basano sulla qualità dei prodotti. Allevamenti e produzioni agricole di grandi dimensioni vengono criticati dalla popolazione locale per l’inquinamento dell’aria e l’utilizzo intensivo dei suoli. Inoltre, cambiano i valori culturali che riordinano le priorità di vita: sempre più persone giovani e di origine straniera guardano alla montagna come luogo di vita dopo aver studiato o fatto qualche esperienza lavorativa in contesti urbani.
In parallelo e su diverse scale, i finanziamenti messi a disposizione dalle politiche di sviluppo europee e nazionali (Green Deal europeo, Piano per la ripresa economica ovvero Recovery Fund) diventano sempre più complessi da ottenere perché richiedono logiche di rete e di pianificazione e il raggiungimento di obiettivi globali come l’ammodernamento e la digitalizzazione della produzione per aumentare la competitività, la lotta al cambiamento climatico, l’economia circolare. In contemporanea, vi è una compresenza fra attori eterogeni che a scale diverse si occupano di gestire il territorio, per cui si parla di governance policentrica delle risorse.
Per non diventare solamente una pagina di un libro di storia in una biblioteca locale, le istituzioni di gestione collettiva delle risorse devono innovare il modo con cui si organizzano e collaborano con chi abita e ha interessi sul territorio.
Come possiamo creare un futuro per i territori di montagna, in modo tale che possano diventare luogo di vita per giovani professionisti e giovani famiglie? Come renderli attrattivi per chi vorrebbe creare un’impresa di comunità, portare nuove energie e idee e partecipare allo sforzo collettivo di vivere insieme in una regione di montagna, prendendosi cura del suo ambiente e habitat? La cura collettiva potrebbe essere il modo per creare futuri rurali desiderabili in montagna. Vediamo come.
Cinque giovani, due malghe, una comunità
Favrio e Dasindo sono due frazioni montane situate in Trentino e caratterizzate da invecchiamento della popolazione. Tra i giovani che cercano di invertire questa tendenza e che hanno deciso di stabilirsi, restare o tornare nelle Valli Giudicarie, ci sono Sara, Stefano, Davide, Juri e Manola. Sono sensibili al futuro dei due paesi, dove la comunità sta allentando i legami con le proprie risorse collettive. Inoltre, seguono con attenzione come il turismo di massa si sta sviluppando nelle Alpi. I cinque giovani hanno un’immagine chiara in mente: e se le risorse collettive fossero il centro di una visione di comunità vitale e di un modello di turismo lento che coinvolge la comunità?
Come fare per raggiungere questo obiettivo? I cinque ragazzi vorrebbero sperimentare un nuovo modello di business per la gestione collettiva delle risorse: una forma di impresa formata dai membri delle comunità e da una costellazione di attori quali associazioni e piccole aziende locali che porti avanti le proprie attività sotto l’attenta direzione delle ASUC (Amministrazioni Separate dei Beni di Uso Civico), ovvero quelle istituzioni che gestiscono i beni collettivi. Nel caso specifico, questa impresa andrebbe a co-gestire due malghe assieme alle ASUC di Favrio e Dasindo, con il fine e di prendersi cura dei beni intangibili quali il legame e le relazioni tra comunità e beni collettivi. Questa nuova forma di gestione delle risorse e dei beni collettivi vorrebbe offrire un diverso tipo di ospitalità e di servizi, che valorizzano e raccontano il territorio insieme alla comunità e per la comunità.
Dove affondano le radici di questo progetto? Come emerge da questo studio di fresca pubblicazione, è in atto un processo nelle comunità montane, tale per cui vengono riconosciuti nuovi valori collettivi alle risorse e allo stesso tempo nuove risorse vengono considerate come collettive. L’economia, ad esempio, diventa un bene della comunità, così come la qualità del paesaggio, dell'aria, dell'acqua, degli spazi verdi. La comunità stessa è una risorsa su cui contare quando abbiamo bisogno di aiuto reciproco, di legami di solidarietà, di amicizie e di vicini di casa, nei momenti di emergenza, come durante la pandemia di COVID-19. Ci sono nuovi attori e portatori di interesse nella comunità, che condividono l'interesse a prendersi cura delle risorse e a investire tempo e competenze. Ciò implica darsi nuove regole per la discussione, progettazione, partecipazione, e infine per l’accesso alle risorse collettive.
Dal 2021 Sara, Stefano, Davide, Juri e Manola hanno avviato un percorso partecipativo con le comunità di Favrio e Dasindo. Vorrebbero che la sperimentazione di un modo innovativo di gestire i beni collettivi e di un modello di turismo di comunità abbia successo localmente e possa diventare un modello per altri territori.
L’amministrazione provinciale ha dunque finanziato un progetto con attori a più livelli: le ASUC con le comunità di Favrio e Dasindo, l’associazione provinciale delle ASUC trentine, associazioni e imprese locali ed Eurac Research, che ha supportato lo studio e la sperimentazione dell’innovazione utilizzando l’approccio transdisciplinare della co-creazione del sapere. Come si evince dallo studio, questo approccio, tuttavia, può determinare "l'intrusione" del ricercatore, che diventa un portatore di interesse nel processo di innovazione. In queste delicate sperimentazioni è necessario trovare un equilibrio tra l'essere un mediatore di sapere, un agente di cambiamento, senza determinare un disequilibrio nelle comunità, tale per cui l’innovazione determina una “snaturazione” della ragione per cui la gestione collettiva delle risorse si è evoluta nel tempo.
Cambia la gestione collettiva di risorse comuni in un mondo che cambia
L'importanza delle risorse gestite collettivamente sta cambiando. In un’economia e in una società in evoluzione, malghe e foreste sono considerati importanti beni relazionali e spazi ricreativi per una buona vita in montagna. Pertanto, le attività di manutenzione e cura attraverso forme collettive di gestione comportano l’implementazione di iniziative che hanno lo scopo di aumentare la qualità delle risorse e la capacità di fornire servizi ecosistemici. Nei due casi studio è stato osservato che per rivitalizzare la governance collettiva delle risorse sono stati coinvolti un maggior numero di attori con profili, interessi e idee diverse, nonché imprenditori, l’amministrazione regionale, associazioni sovralocali e regionali. Le innovazioni che si cerca di introdurre nei due paesi delle Valli Giudicarie sono necessarie per alleggerire la comunità dal peso dei compiti amministrativi e burocratici dell'azione collettiva, permettendo così di concentrarsi sulla cura della comunità e sulla manutenzione del territorio. La gestione collettiva dei beni comuni montani sarebbe, in questo modo, libera di esprimere tutto il suo potenziale e rilasciare un’energia rigenerativa e trasformativa nelle comunità di montagna.
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