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Di pastorizia, vitalità delle Terre Alte e di responsabilizzazione collettiva: il lascito di Agitu

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Cristina Dalla TorreFederica Maino
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Di pastorizia, vitalità delle Terre Alte  e di responsabilizzazione collettiva: il lascito di Agitu
L’Istituto per lo Sviluppo Regionale in visita a La Capra Felice di Agitu nel 2019 - © Cristina Dalla Torre

A distanza di un anno dalla morte di Agitu Ideo Gudeta, imprenditrice e fondatrice dell'azienda agricola “La Capra Felice”, abbiamo avuto modo di riflettere su cosa ci possano insegnare la sua vita e la sua tragica scomparsa. Il nostro intento è quello di evidenziare il contributo che Agitu, direttamente o indirettamente, ha dato allo sviluppo delle aree montane più fragili.

I ricercatori Giulia Galera e Simone Baglioni hanno recentemente pubblicato un articolo in cui parlano della complessità dei territori di montagna e della tendenza a cercare degli eroi come risolutori di situazioni difficili. La complessità e l´eroicizzazione sono temi particolarmente appropriati per descrivere la figura di Agitu e la realtà in cui aveva deciso di operare.

Agitu si occupava di pastorizia, settore particolarmente esposto a incertezze perché dipendente da fattori produttivi, climatici e istituzionali molto variabili. Si era inserita in un contesto socioculturale sfidante, ovvero “un'area alpina periferica dove esistono ancora regole antiche che governano i rapporti tra i membri della comunità” (Galera e Baglioni, 2021). Aveva deciso di impiegare persone fragili e vulnerabili nella sua azienda. Il tutto in un momento storico di grave instabilità e di recessione economica.

Nei diversi articoli che sono stati pubblicati negli anni, la storia di Agitu è stata narrata in modo da fare di lei un’eroina della rivitalizzazione delle aree montane. Ciò porta a domandarci: cosa possiamo imparare dalla sua storia? È possibile avviare progetti nelle aree montane che creino equilibrio tra il benessere delle persone, degli animali e dell’ambiente? Quali sono gli ingredienti per rivitalizzare le aree di montagna più fragili? In questo articolo cerchiamo di dare risposta a queste domande e proporre ulteriori spunti di riflessione al contributo di Galera e Baglioni. Abbiamo individuato cinque ingredienti di successo nel progetto realizzato da Agitu e ne proponiamo un sesto, secondo noi indispensabile per rendere durevoli e sostenibili i progetti di sviluppo di aree montane complesse ed evitare l´eroicizzazione.

La ricchezza dell’approccio di Agitu si manifesta innanzitutto nella sua (1) visione ecosistemica, ovvero nella sua capacità di integrare e connettere diversi settori e attività, e nel favorire sinergie tra le persone sia a livello locale, sia su scala più ampia, grazie alla rete di relazioni che aveva saputo sviluppare. Per fare questo Agitu applicava il concetto di (2) interdipendenza multilivello al suo modo di fare pastorizia e allevamento: era attenta al benessere degli animali e alle risorse del territorio in cui si era insediata, ma aperta a reti translocali, come ad esempio Slow Food e Legambiente. Inoltre, contribuiva a creare consapevolezza su temi come il cambiamento climatico, le guerre per l’accaparramento estrattivo di risorse naturali e le migrazioni ad esse legate. Aveva creato un sistema di allevamento non autoreferenziale e chiuso, ma che riconosceva le fragilità e le interconnessioni di un territorio.

Il terzo ingrediente è la (3) diversità, fonte di rigenerazione per un territorio e per i suoi sistemi sociali ed ecologici. La storia personale ed imprenditoriale di Agitu ne dimostra l’importanza attraverso la combinazione di saperi, pratiche e metodi degli altopiani etiopi con quelli delle valli alpine. Identità e tradizione sono elementi radicati ed importanti per i territori di montagna, ma per compiere passi in avanti e restare competitivi è fondamentale accogliere (4) l’innovazione. Un esempio concreto è la robiola di sua produzione: una mescolanza tra un prodotto locale - il latte prodotto dalle capre pezzate mochene - e le ricette della tradizione etiope che, grazie alla fermentazione, ne esaltano il sapore acido. È proprio dall'inclusione della diversità che un sistema come quello montano, e in particolare quello della pastorizia, si rinnova, mostrando la sua capacità di essere parte della soluzione contro le crisi che subisce, siano esse climatiche, economiche, o conseguenza degli effetti delle tendenze globali.

Oltre alla diversità, Agitu aveva colto l’aspetto della (5) circolarità valorizzando ciò che solitamente rimane ai margini o viene scartato e che invece per lei si traduceva in un’opportunità per la sua azienda e per le Terre Alte. Attraverso la pratica della pastorizia, infatti, aveva recuperato il pascolo in alcuni ettari di terreni abbandonati di uso civico (intervista a Robert Brugger di Cristina Dalla Torre) e aveva ripreso l'allevamento di una selezione ovina autoctona in via d'estinzione.

Il gregge de La Capra Felice di Agitu Ideo Gudeta © Alessio Miclet, 2019

Tuttavia, per comprendere il lascito di Agitu non possiamo prescindere dalla sua tragica scomparsa. Essa non può essere ricondotta a una facile contrapposizione tra “buoni” e “cattivi”, tipico elemento della narrazione che cerca eroi a cui riconoscere glorie e sconfitte. La sua morte è rivelatrice della fragilità di un’attività che si basa sul lavoro intenso di una o poche persone. In accordo con quanto scritto da Galera e Baglioni, crediamo che un progetto di rivitalizzazione delle aree montane durevole e sostenibile deve essere il risultato anche di un´(6) azione collettiva.

Per gestire la complessità delle aree montane tutti e sei gli ingredienti che abbiamo citato devono essere amalgamati. Il sesto, spesso mancante, è importante perché si basa sulla la coralità, distribuisce le responsabilità e il rischio del progetto tra una molteplicità di attori, valorizza le capacità e le idee di chi compartecipa all'impresa e riesce a far fronte alle fragilità individuali.

Discussione e progettazione collettiva durante il Rural Commons Festival 2021© Francesca Dusini

Agitu Ideo Gudeta

Agitu Ideo Gudeta nasce nel 1978 in Etiopia da una famiglia di pastori nomadi. Emigra in Italia per motivi di studio e, subito dopo la laurea in sociologia all'Università di Trento, torna nella sua terra d’origine per combattere contro il land grabbing, ovvero contro l’accaparramento illecito di terre collettive da parte di imprese multinazionali. Il suo impegno contro queste pratiche le costa pesanti minacce. Rientra come rifugiata in Italia e avvia in Trentino un allevamento di ovini di pezzata mochena, una razza autoctona a rischio di estinzione, e un caseificio, La Capra Felice. Il metodo di allevamento utilizzato, i prodotti biologici che produce e gli intenti ambientalisti di Agitu la portano ad ottenere riconoscimenti anche da Slow Food e da Legambiente. Per la sua attività, Agitu recupera un pascolo in stato di abbandono e nel corso degli anni dà lavoro a numerosi giovani richiedenti asilo e rifugiati. Viene tragicamente uccisa nel dicembre 2020.

Cristina Dalla Torre

Cristina Dalla Torre

Cristina Dalla Torre lavora all'Istituto per lo Sviluppo Regionale di Eurac Research e studia modalità collettive di gestione delle risorse e di innovazione sociale in aree montane. Utilizza un approccio transdisciplinare alla ricerca, ovvero di co-produzione del sapere assieme alle comunità e ai/alle professionisti/e con cui lavora.

Federica Maino

Federica Maino

Federica Maino si occupa di sviluppo regionale delle aree montane, con una particolare attenzione alle metodologie partecipate e alla gestione dei conflitti. Nel lavoro, ma più in generale nella vita quotidiana, ama favorire l’apprendimento, la cooperazione tra le persone e la creazione di progetti innovativi con l’arte maieutica.

Citation

https://doi.org/10.57708/b83319515
Dalla Torre, C., & Maino, F. Di pastorizia, vitalità delle Terre Alte e di responsabilizzazione collettiva: il lascito di Agitu. https://doi.org/10.57708/B83319515

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