dna antico

16 agosto 23


Pelle scura, calvizie, antenati anatolici: le ultime scoperte sul genoma di Ötzi

Un team di ricerca, utilizzando una tecnologia di sequenziamento avanzata, ha tracciato un quadro più preciso dell’aspetto e delle origini genetiche dell’Uomo venuto dal ghiaccio

Il genoma di Ötzi era già stato decodificato più di dieci anni fa: era la prima volta per una mummia e aveva permesso di capire aspetti importanti del patrimonio genetico della popolazione europea preistorica. I progressi compiuti da allora nelle tecnologie di sequenziamento hanno ora consentito a un team di ricerca composto dall’Istituto Max Planck per l’antropologia evolutiva e da Eurac Research di ricostruire il genoma dell’Uomo venuto dal ghiaccio in modo molto più preciso. I risultati di questa analisi completano il quadro e, in parte, lo correggono. A differenza del primo studio il team non ha trovato nel genoma di Ötzi tracce dei pastori delle steppe arrivati dall’Europa orientale circa 4.900 anni fa. Per contro risulta insolitamente alto – rispetto ai suoi contemporanei europei – il patrimonio genetico riconducibile ai primi coltivatori immigrati dall’Anatolia: questo suggerisce che Ötzi appartenesse a una popolazione alpina relativamente isolata, con pochi contatti con altri gruppi europei. Per quanto riguarda il suo aspetto, lo studio ha fornito risultati del tutto nuovi che mettono in discussione la sua rappresentazione ormai iconica: al momento della sua morte quasi certamente non aveva più folti capelli lunghi ma una calvizie avanzata e la sua pelle era più scura di quanto si era pensato finora. I geni mostrano anche una predisposizione al diabete e all’obesità. Lo studio è stato pubblicato oggi su “Cell Genomics”.

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07 febbraio 23


Risolto il mistero della mummia di Basilea

Nei campioni di tessuto di una mummia del XVIII secolo conservata in una chiesa, un team di ricerca di Eurac Research e del Museo di storia naturale di Basilea ha scoperto un agente patogeno sconosciuto, chiarendo così di cosa soffrisse la donna

La mummia, è nota come la “signora della Barfüsserkirche” perché fu ritrovata nel 1975 durante i lavori di costruzione dell’omonima chiesa a Basilea. Diversi indizi, tra cui i cambiamenti nelle ossa del cranio, hanno inizialmente suggerito che la donna soffrisse di sifilide. Grazie alla collaborazione interdisciplinare coordinata dal Museo di storia naturale di Basilea, nel 2018 la mummia è stata identificata in Anna Catharina Bischoff, vedova del parroco. Tuttavia, le analisi condotte da un’equipe dell’Istituto per la ricerca sulle mummie non hanno rilevato tracce dell’agente patogeno di questa malattia. Utilizzando un nuovo metodo, finora raramente applicato al DNA antico, è stato possibile assemblare il genoma di un micobatterio non tubercolare ancora sconosciuto e chiarire che la donna non è morta di sifilide. La possibilità di scoprire nuovi e rari microrganismi anche in materiale genetico molto antico permette alla scienza di approfondire aspetti importanti dello sviluppo delle malattie infettive umane.

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20 dicembre 22


Alto medioevo: scambi con altre popolazioni e dieta varia

La bioarcheologia racconta e confronta le valli dell’Alto Adige

Uno studio di paleogenetica condotto sui resti scheletrici di 94 individui rinvenuti in 11 siti archeologici sparsi tra val Venosta, val Isarco, valle dell’Adige e Merano e risalenti al periodo tra il V e il XII secolo d.C. suggerisce che le persone si spostavano e si mescolavano, pur con alcune interessanti differenze all’interno del territorio. Anche la dieta era varia. Per arrivare a queste conclusioni il gruppo di ricerca ha analizzato il DNA mitocondriale completo, cioè il DNA che si trasmette per linea materna, e alcuni isotopi che danno informazioni sulla dieta e sulla mobilità.

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