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Boschi che proteggono

Uno studio ha valutato l’impatto dai cambiamenti climatici su undici boschi in Alto Adige con un tratto in comune: sono foreste di protezione

Marco Mina
© Eurac Research | Marco Mina
by Giovanni Blandino

Le foreste di protezione sono aree di bosco che mettono al riparo persone, cose e terreni da rischi naturali potenzialmente distruttivi: frane, cadute di massi, colate di detriti e valanghe. Un nuovo studio di Eurac Research ha analizzato alcune delle foreste di protezione dell’Alto Adige, tutte molto diverse tra loro, simulando come la loro “dote protettiva” potrebbe modificarsi a seguito dei cambiamenti climatici.

Andermatt è una cittadina svizzera di qualche migliaio di abitanti. Si trova in Val D’Orsera, sulla strada che porta al San Gottardo, le montagne attorno presentano fianchi perlopiù spogli e disboscati. C’è però un’eccezione: proprio sopra la città si estende un fitto bosco, un triangolo verde che i locali chiamano la foresta di Gurschen. Sono questi alberi che da secoli mettono al riparo le case del paese da valanghe, smottamenti e cadute di massi. Non è un caso che già nel 1397, le autorità di Andermatt con un atto di inconsueta autonomia decisero di mettere sotto la propria giurisdizione quel bosco dichiarandola una bannwald – ovvero una foresta protetta. Oggi la storia e il valore degli alberi che crescono sopra a Andermatt sono raccontati da un sentiero informativo e celebrati da una festa centenaria.

In Alto Adige il 58% dei boschi hanno una funzione protettiva. Un quarto di questi difendono direttamente un’infrastruttura o un abitato dai pericoli naturali.

Il bosco di Andermatt non è che una delle molte foreste protettive delle Alpi. Si definiscono come “foreste di protezione” aree di bosco che mettono al riparo persone, cose e terreni da rischi naturali potenzialmente distruttivi. Si parla di frane, cadute di massi, colate di detriti di diverse dimensioni e – ovviamente – valanghe. Ora un nuovo studio di Eurac Research ha analizzato undici foreste di protezione dell’Alto Adige, tutte molto diverse tra loro. Ha valutato come e da quali pericoli naturali proteggono attualmente e infine ha simulato come la loro “dote protettiva” potrebbe modificarsi a seguito dei cambiamenti climatici.

Che cos’è una foresta di protezione?

In Alto Adige si stima che il 58% dell’area boschiva sia una foresta di protezione. Si intuisce quindi come la categoria sia piuttosto ampia. Solitamente infatti una foresta viene definita come protettiva quando è situata su un pendio di una montagna che copre un'area tra un pericolo potenziale e un bene o un'infrastruttura esposta. Ma ci sono altre caratteristiche da tenere in conto.

I boschi protettivi si dividono tra quelli che difendono direttamente – ad esempio quando hanno potenzialità di impedire che una valanga, una frana o dei massi raggiungano una strada, un gruppo di case o una centrale idroelettrica – e la cosiddetta protezione indiretta, cioè quando la foresta fa semplicemente in modo che il terreno non si eroda. In Alto Adige un quarto dei boschi protettivi ha una funzione di protezione diretta.

"Le caratteristiche ideali di un bosco di protezione dipendono dal tipo di pericolo naturale dal quale la foresta ci protegge"

Marco Mina

“Una cosa è certa,” afferma Marco Mina, ecologo forestale di Eurac Research, “i boschi per proteggere devono rispettare determinate caratteristiche, in particolare riguardo la densità del numero di alberi e il diametro medio di questi”. Il ricercatore ci spiega infatti che nelle foreste di protezione, estendendosi solitamente in pendii molto scoscesi e difficili da raggiungere, la gestione forestale spesso viene abbandonata perché non remunerativa. Ciò causa un invecchiamento della struttura forestale. “Mancando i tagli opportuni che lasciano spazio alle nuove generazioni di alberi, la foresta tende a chiudersi su sé stessa divenendo più rada e meno stabile. Il problema è inoltre acuito dagli animali selvatici che brucano le piante più giovani e ostacolano la rinnovazione del bosco”.

Quando a questo si aggiungono gli impatti di disturbi naturali come incendi, tempeste, schianti da vento o la diffusione di parassiti – come il bostrico – l’effetto protettivo scompare istantaneamente.

Lo studio di Eurac Research su undici foreste di protezione in Alto Adige

Un’altra incognita che pesa sui boschi protettivi è quella dei cambiamenti climatici: in che modo si svilupperanno le foreste in futuro? Ci continueranno a proteggere? Per questo un team di Eurac Research ha applicato a undici boschi in Alto Adige un modello che simula lo sviluppo del bosco in base a diversi scenari di cambiamento climatico: l’idea è quella di valutare come potrebbe cambiare la loro funzione protettiva nel corso di questo secolo.

“Per testarlo, abbiamo inserito nel modello tipologie di bosco molto diverse tra loro – di cui l’Alto Adige fortunatamente è ricco,” spiega l’ecologo forestale Laurin Hillebrand, primo autore dello studio. Si va da boschi montani di abete rosso mescolato con faggio europeo e abete bianco che crescono a un’altitudine dai circa 1000 ai 1500 metri alle foreste subalpine di larice e pino cembro ad altitudini più elevate. Ci sono poi aree più secche, come la Val Venosta, e aree più piovose come le regioni più settentrionali del territorio, ma anche esempi di popolamenti puri di pino silvestre nei versanti delle valli esposti a sud.

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La funzione protettiva nei confronti della caduta massi in una foresta nei pressi di Redagno, in Alto Adige.© Eurac Research - Marco Mina
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La funzione protettiva nei confronti della caduta massi in una foresta nei pressi di Redagno, in Alto Adige.© Eurac Research - Marco Mina
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La funzione protettiva nei confronti della caduta massi in una foresta nei pressi di Redagno, in Alto Adige.© Eurac Research - Marco Mina

Avere un’ampia varietà di casi studio per il team di ricerca è stato assai importante. “Le caratteristiche ideali di un bosco di protezione dipendono dal tipo di pericolo naturale dal quale la foresta ci protegge,” spiega Marco Mina.

“Ad esempio in caso di valanghe è preferibile un bosco di conifere sempreverdi rispetto alle latifoglie. Il bosco di conifere infatti riduce la presenza di neve che si deposita sul terreno grazie all’intercettazione nelle chiome e crea un microclima particolare nel sottobosco che influisce sulla trasformazione della neve. Il bosco di latifoglie invece, composto di alberi che d’inverno perdono le foglie, è meno efficiente: non riduce ugualmente il possibile distacco di valanghe e quindi ha una più bassa capacità di protezione”.

La caduta massi a valle invece è maggiormente scongiurata dalle latifoglie. Queste sono infatti decisamente più stabili di una foresta di abete rosso i cui alberi, con apparato radicale più superficiale, rischiano di franare insieme al masso. Ma anche qui molto varia a seconda del tipo di detriti: pochi alberi di grandi dimensioni fanno poco contro una frana fatta di detriti di medie e piccole dimensioni, ma riescono più efficacemente a fermare i grandi massi. E viceversa.

Le foreste continueranno a proteggerci? I risultati dello studio

“Gli output del modello hanno confermato che i cambiamenti climatici avranno un chiaro un impatto sui nostri boschi,” racconta Marco Mina “Anche se le simulazioni ci offrono scenari molto contrastanti in base al tipo di bosco e l’intensità dello scenario climatico futuro. Non vediamo mai conseguenze tutte negative o positive, ma una serie di sfumature.”

Un sistema paravalanga nelle Alpi dello Stubai, in Austria© Eurac Research | Marco Mina

Quello che è chiaro è che, in ogni scenario futuro di cambiamento climatico, l’effetto protettivo dalle valanghe risulta compromesso nelle foreste a media-bassa quota. Le cose sono invece molto variabili per quanto riguarda la caduta massi. “In diversi casi, le foreste di media e alta montagna difenderanno meno dalla caduta massi solo se i cambiamenti climatici saranno drastici, quelli che per esempio predicono un aumento di sei o sette gradi in estate e inverno. Mentre per i boschi subalpini ad altitudini maggiori si prevede un mantenimento della funzione protettiva che in alcuni casi – se il cambiamento climatico sarà mantenuto entro i limiti più ottimisti – potrebbe addirittura aumentare quando il bosco, seguendo la sua dinamica naturale, diventerà piú fitto."

Non è detto però che tutti i boschi subalpini saranno in grado di mantenere la protezione dalla caduta massi, perché – come ripete il ricercatore – ogni bosco protegge a modo suo. Ad esempio i boschi puri dominati dall’abete rosso nelle valli interne delle Alpi e caratterizzate da un clima più continentale e più secco potrebbero essere danneggiati dalla siccità. “Il vantaggio di utilizzare modelli a scala di popolamento forestale è che possiamo fornire uno zoom molto accurato a livello locale, grazie anche ai numerosi dati raccolti nelle misurazioni in campo,” commenta Marco Mina.

Studi simili, ma su scala più ampia, in futuro potrebbero fornire informazioni più precise alle amministrazioni per capire come gestire al meglio i boschi anche a fronte di un clima che cambia.

Come sarebbe un mondo senza foreste di protezione?

Ingenuamente rivolgiamo un’ultima domanda al team di ricerca forestale: ma invece di gestire i boschi, non converrebbe costruire molti più argini artificiali, come reti di protezione e barriere anti-valanga? “Anche solo dal punto di vista economico sarebbe sconveniente,” rispondono ricercatori e ricercatrici, “gestire un bosco costa molto meno che costruire quelle che in gergo vengono chiamate strutture grigie, ovvero protezioni artificiali come reti paramassi e barriere fermaneve . Senza contare che i boschi di protezione sono boschi in tutto e per tutto, ovvero forniscono numerosi benefici alle comunità umane e agli ecosistemi. Ad esempio sono importanti per la biodiversità, sono una fonte di materie prime, immagazzinano C02: insomma, hanno molti più vantaggi rispetto alle strutture artificiali”.

Teniamoci care le foreste, dunque.

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Il paper scientifico

I risultati dello studio sono stati pubblicati nell'articolo scientifico "Contrasting impacts of climate change on protection forests of the Italian Alps" di Hillebrand Laurin, Marzini Sebastian, Crespi Alice, Hiltner Ulrike, Mina Marco. L'articolo è disponibile su Frontiers in Forests and Global Change ad accesso libero.

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