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Covid-19: ecografie alla riscossa

Annelie Bortolotti
© Eurac Research | Annelie Bortolotti
by Valentina Bergonzi

L’ecografia come tecnica per diagnosticare patologie polmonari nei pronto soccorso ha trovato nell’emergenza Covid-19 il suo banco di prova. Sempre più studi, tra cui uno che abbiamo svolto in collaborazione con l’Ospedale di Bolzano, ne dimostrano l’utilità nel riconoscere le polmoniti.

Era il 2005 quando, nel reparto di pneumologia dell’ospedale universitario Sant’Anna di Ferrara, Alessandro Zanforlin cominciava ad armeggiare con gli ecografi. Stava iniziando la sua specializzazione in malattie dell’apparato respiratorio e in quegli anni, almeno in Italia, di ecografie ai polmoni se ne facevano gran poche, solo in casi molto specifici.

Non è come il fegato, ma….

Per capire le resistenze storiche di larga parte dei medici all’uso sul polmone è utile ripassare come funziona un ecografo: lo strumento emette delle onde a ultrasuoni che superano la pelle e si fermano quando incontrano un “oggetto” all’interno del corpo umano. A quel punto le onde tornano sui loro passi e la macchina trasforma i segnali in immagini sul monitor. Questo sistema funziona benissimo per gli organi che contengono molta acqua. Il caso che chiunque conosce è quello dei bebè nella pancia della mamma. Per i polmoni è diverso: ci sono le costole che ostacolano la visuale per almeno il 30 per cento e l’aria contenuta negli alveoli intralcia il lavoro degli ultrasuoni. “In effetti la lettura di una ecografia ai polmoni è molto diversa da una al fegato o al cuore”, spiega il dottor Zanforlin. “Sul monitor riconosciamo la struttura dei polmoni solo in condizioni molto gravi, quando non contengono quasi più aria. A quel punto il segnale è nitido, e infatti parliamo di polmoni epatizzati, cioè che hanno una densità simile a quella del fegato”. Diversamente, chi legge l’ecografia deve interpretare linee, punti e altri segni, che in gergo tecnico si chiamano “artefatti”.

Con il tempo sempre più medici si sono convinti che se questi artefatti si interpretano bene, le prime diagnosi migliorano: le eco sono più accurate di una semplice auscultazione con lo stetoscopio e così il medico può rinviare o ridurre il numero di esami più invasivi e costosi come radiografie o Tac. Nel 2018, il primo censimento dell’Accademia di Ecografia Toracica (AdET) registra che in Italia oramai la grande maggioranza dei reparti pneumologici ha un ecografo, generalmente portatile, ma ogni settimana si fanno ancora pochi esami e il 70 per cento degli operatori si è formato solo nei cinque anni precedenti.

Dalla pneumologia alla tenda del triage Covid

La mattina del 20 marzo Alessandro Zanforlin riceve una chiamata al Servizio di pneumologia dell’Azienda sanitaria dove lavora: deve indossare tuta, guanti e maschera protettive e trasferirsi nel tendone destinato al triage, di fronte all’Ospedale di Bolzano. Deve fare ecografie ai polmoni dei pazienti sospetti Covid-19 e far vedere anche ai colleghi come farle. La pandemia è appena iniziata, e nelle prime settimane per analizzare i tamponi ci vogliono ancora diverse ore. Nell’attesa dei risultati è indispensabile provare a riconoscere in altro modo eventuali polmoniti da Covid-19 e isolare subito i contagiati. “Il campanello d’allarme suonava per chi aveva sintomi come febbre e tosse secca”, racconta Zanforlin. “Ma mandarli subito a fare una TAC di conferma voleva dire aumentare il rischio di contaminazione lungo il tragitto e nelle stanze della TAC”.

Un videotutorial comincia a circolare tra chi fa i turni in pronto soccorso a Bolzano. Sul gruppo Facebook “Accademia di ecografia toracica” gli oltre 4.500 iscritti si scambiano esperienze con i colleghi delle aree più colpite e si danno consigli. Una clinical letter, cioè raccomandazioni basate su osservazioni cliniche, viene pubblicata già a fine marzo sul Journal of Ultrasound in Medicine, a firma di un team italiano. Sempre a marzo, sul Lancet, tre medici del Policlinico Gemelli di Roma ricordano che, oltre tutto, le ecografie proteggono di più il personale medico: c’è meno contatto fisico di una visita tradizionale, basta sanificare la sonda e sono coinvolte meno persone rispetto a quelle che servono per una tomografia. Ma quando sono affidabili nella diagnosi?

Alessandro Zanforlin, pneumologo al Servizio di pneumologia dell’Azienda sanitaria di Bolzano© Eurac Research | Annelie Bortolotti
Giacomo Strapazzon, medico e ricercatore, vice-direttore dell’Istituto per la Medicina d’emergenza in montagna. © Stefano Tambaro / CiMeC – Università di Trento

Polmoni a macchia di leopardo

“Nella maggioranza dei casi, i medici che hanno una certa pratica con l’ecografo, anche se non specializzati in pneumologia riconoscono la polmonite da Covid-19”, spiega Zanforlin. “Sul monitor i contorni dei polmoni sono sfumati. I punti in cui manca aria sono sparsi a macchia di leopardo e su entrambi i polmoni. Le classiche polmoniti batteriche si riconoscono invece per ‘macchie’ localizzate in un settore più definito del polmone”. I casi passati per le mani di Zanforlin da marzo ad aprile sono tanti. I dati di 111 ecografie vengono condivisi con i colleghi di Eurac Research.

“Nella medicina d’emergenza nelle nostre ricerche ad alta quota , l’ecografo portatile è un mezzo indispensabile, quindi abbiamo maturato parecchia esperienza”, prosegue Giacomo Strapazzon, medico e vicedirettore dell’Istituto per la medicina d’emergenza in montagna. Il gruppo di ricerca ha incrociato i dati: risultati dei tamponi e diagnosi fatte con ecografia. Hanno valutato due parametri: la sensibilità e la specificità dello strumento. Uno strumento “sensibile” riconosce correttamente i pazienti ammalati, cioè in questo caso le diagnosi di polmonite. Uno strumento “specifico” dà pochi falsi negativi, cioè sono pochi i pazienti che hanno una polmonite ma risultano negativi all’esame diagnostico. “Le curve di ROC, cioè i grafici con cui confrontiamo sensibilità e specificità, ci hanno dato risultati molto buoni, specialmente per la sensibilità”, annuncia Strapazzon. “Con l’ecografia è stato riconosciuto il 90 per cento delle polmoniti da Covid-19”.

Verso sinistra: ecografia di polmoni sani. Verso destra: ecografia nella quale il medico riconosce nelle macchie e nelle linee i segni di una polmonite da Covid-19.

Emergenza o innovazione accelerata?

Lo studio congiunto di Eurac Research e Sabes, appena uscito sulla rivista Respiration va ad arricchire una sempre più ricca serie di lavori, tra i quali, solo per citare quelli geograficamente più prossimi, una pubblicazione simile dell’Ospedale Molinette di Torino o la ricerca dell’Università di Trento, che sfrutta l’intelligenza artificiale per migliorare la lettura delle ecografie toraciche. Tutti confermano la validità della prassi che si è consolidata in questi mesi.

La pandemia ha trovato all’Ospedale di Bolzano e in tutta Italia un nuovo ruolo per le ecografie ai polmoni. Con l’ecografia si velocizza il triage. Per i casi meno gravi si evita una TAC, i pazienti si risparmiano radiazioni e la struttura ottimizza le spese. In rianimazione, dove spesso i pazienti non riescono a collaborare e spostarli è rischioso, si monitora costantemente l’andamento della polmonite direttamente a letto. Con lo stesso scopo di controllare il decorso della malattia, gli ecografi portatili vengono dati in dotazione alle Usca, le unità che visitano a casa chi ha sintomi da Covid-19, ma non così gravi da richiedere il ricovero. “Certamente nell’emergenza si tratta di un ausilio molto valido, ma bisogna stare attenti a non farsi travolgere dal sensazionalismo. Bisogna contestualizzare i risultati, non possiamo rinunciare ad altri strumenti di diagnosi”, precisa Zanforlin.

Nel 2016 sulla rivista Acta Medica Academica usciva un paper dal titolo entusiastico: “L’ecografia è lo stetoscopio del futuro? Decisamente sì! (Is lung ultrasound the stethoscope of the new millennium? Definitely yes!). La pandemia sembrerebbe anticipare questo futuro.

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La pubblicazione

Leggi il paper completo su Respiration.

Vedi tutte le pubblicazioni dell’Istituto per la medicina d’emergenza in montagna di Eurac Research.

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