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L’Open Science paga specialmente se sei una realtà piccola

Una conversazione con il limnologo Alberto Scotti

by Valentina Bergonzi

Molti programmi di finanziamento obbligano a condividere i dati. Tanti lo fanno per dovere, e brontolano. Poi ci sono gli entusiasti. Alberto Scotti, giovane limnologo che studia gli invertebrati che vivono nelle acque dolci, appartiene decisamente alla seconda categoria.È tra i vincitori dell'edizione 2021 degli Open Research Award di Eurac Research nella categoria carriere agli esordi.

Per essere nella fase di decollo della sua carriera, Alberto Scotti, 31 anni, ha alcune idee straordinariamente chiare: sullo scrupolo di organizzare il proprio lavoro in modo “seriale” e metodico e sulla necessità di sposare “senza se e senza ma” l’approccio Open Science.
È partito dalla sua tesi di dottorato, per la quale ha verificato come i cambiamenti climatici e i diversi usi dei terreni attorno ai corsi d’acqua alpini incidano sulle popolazioni di macroinvertebrati che vivono in acqua, e prosegue così per ogni studio.

Nel quotidiano, cosa vuol dire essere un “open researcher”?

Alberto Scotti: Vuol dire che condivido online il mio lavoro in due o anche tre momenti. Per prima cosa rendo pubblici i dati, cioè le liste che stilo dopo i campionamenti nei fiumi, con luogo, nomi delle specie, quantità. Poi, se la mia domanda di ricerca è particolare o lo studio si prolunga per un tempo piuttosto lungo, per esempio le attività che portiamo avanti come Istituto nel sito di ricerca ecologica a lungo termine della Val Mazia, condivido un cosiddetto “data paper”, cioè aggiungo ai dati delle spiegazioni per contestualizzarli (un esempio). Infine, quando esce l’articolo scientifico propriamente detto che include l’analisi e la discussione dei dati, oltre al testo rendo disponibile l’intero iter di lavoro che ho fatto, passo per passo.

Riordinare le carte di lavoro e renderle pubbliche: suona come lavoro extra. . .

Scotti: Sicuramente bisogna investire un po’ di tempo, ma i vantaggi sono esponenziali. Se i dati non sono organizzati e/o spiegati bene, nessuno li usa. Se invece li ordino una volta, poi magari è possibile, grazie alle collaborazioni con altre istituzioni, pubblicare due o tre articoli scientifici in più. E questo è molto importante specialmente se sei una realtà piccola.

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La tesi di dottorato di Alberto Scotti è accessibile in modalità aperta.

Cosa vuol dire che l’Open Research paga specialmente se sei una realtà piccola?

Scotti: Bisogna essere onesti e capire chi si è, come istituzione e come persona, nel panorama scientifico. Se sono un “soldatino” che pure fa molto bene il suo lavoro, devo riconoscere che non posso spingermi oltre un certo limite. Ma se faccio il mio, per primo e per bene, e condivido i miei dati, magari là fuori c’è un “generale” che ci vede cose che io non sono in grado di vederci, che ha più mezzi di me, o che comunque è in grado di fare di più e meglio per portare avanti la conoscenza scientifica.

Ma al “soldatino” non va alcun riconoscimento?

Scotti: Al contrario, si aprono collaborazioni impensabili. Grazie alla serie di dati del nostro sito LTER in Val Mazia, che è probabilmente a oggi l’unica serie al mondo così completa su un periodo di dieci anni, stiamo per pubblicare in collaborazione con altri enti diversi lavori che non avremmo mai potuto fare da soli. In sostanza, il nostro impatto scientifico aumenta facendo lo stesso lavoro di prima!

Questo nel migliore nei mondi possibili. Ma siccome dubito che nella comunità scientifica siano tutti santi, non c’è la preoccupazione che ti sottraggano dati e idee?

Scotti: Onestamente, trovo che sia molto più alto il rischio di condividere i dati in modo informale. Il caso classico è quello della mail inviata in buona fede a una persona di fiducia: se usa i tuoi dati, ma non ti cita nella sua pubblicazione, tu cosa puoi fare? Niente. I miei dati sono su internet, potenzialmente quindi più “a rischio”, ma archiviati in repository e “protetti” da licenze. A chiunque mi chieda qualcosa mando semplicemente il link del repository e mi sento molto più tutelato.

La reticenza può essere una questione generazionale? Si può parlare di Open Research native come si parla di digital native?

Scotti: Che non sia la stessa cosa?! Il mondo della scienza sta cambiando tantissimo e bisogna prenderne atto. Oramai i paper con due o tre autori non esistono più. E sono convinto che se tutti ci aprissimo, anche la scienza ne guadagnerebbe in credibilità in modo esponenziale e ridurremmo il rischio di un crescente scollamento tra scienza e società.

Chi ha vinto l’edizione 2021 degli Open Research Award di Eurac Research


I due premi principali sono andati a:

  • gruppo "Language Technologies (LT)" dell'Istituto di linguistica applicata le cui attività si svolgono in modo trasversale tra varie discipline, lingue e comunità e si esprimono nella partecipazione attiva e nel coordinamento di iniziative volte a riunire le persone, invitarle a partecipare alla ricerca e fornire buone pratiche. (leggi l'intervista)

  • Johannes Rainer, leader del gruppo di lavoro "Computational Metabolomics" nell'Istituto di biomedicina, che ha definito strumenti e pratiche di successo per una ricerca aperta, collaborativa e riproducibile. Il suo impegno a favore di un approccio collaborativo sta influenzando l'atteggiamento dei data scientists dell'Istituto e sta dando contributi importanti anche alle comunità internazionali di chi usa i software R e Bioconductor. (leggi l'intervista)

I due premi per le carriere agli esordi vanno a:

  • Alberto Scotti, Istituto per l'ambiente alpino, la cui ricerca sugli insetti acquatici come sentinelle dei cambiamenti ambientali è stata condotta seguendo l'ideale della cultura dell’Open Research e con l'obiettivo di condividere ogni risultato della ricerca.

  • Giulio Genova, Istituto per l'ambiente alpino, e Mattia Rossi, Istituto per l'osservazione della Terra, che, collaborando strettamente, hanno sviluppato strumenti Open Source che, tramite interfacce semplici da usare, permettono non solo ai ricercatori ma anche ad altri utenti con minime competenze di programmazione di accedere e analizzare dati meteorologici e ambientali. (leggi l'articolo)

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