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Quelli che l’excel non gli basta più

L’esperienza di chi usa i software Open Source per crearsi strumenti di lavoro

© ©Win - stock.adobe.com
by Valentina Bergonzi

Analizzare grandi quantità di dati è una impresa complicata e affrontarla con strumenti non ottimali, oltre a far perdere un sacco di tempo, rischia di limitare la ricerca. Specialmente le nuove generazioni, indipendentemente dall’ambito di studio, tendono ad acquisire competenze informatiche Open Source per crearsi strumenti di lavoro ad hoc o formulare richieste più consapevoli ai professionisti. La storia di Mattia Rossi e Giulio Genova, tra i vincitori dell'edizione 2021 degli Open Research Award di Eurac Research nella categoria carriere agli esordi.

A fine anni novanta mandavo fax alla mia nonna, per salutarla. Era molto sorda e al telefono non mi avrebbe sentita. Ogni volta che la incontravo mi chiedeva di spiegarle come fosse possibile che da una scatoletta di plastica nera potesse uscire un foglio con la mia calligrafia; proprio come se lo stessi scrivendo io, che invece stavo a decine di chilometri di distanza. Era grata per quello strumento, incuriosita ma anche a una distanza siderale dalla mia “normalità tecnologica”.
Ecco, quando ho incontrato Giulio Genova e Mattia Rossi ero mia nonna.

Giulio Genova e Mattia Rossi hanno programmato una applicazione web che si chiama Meteobrowser dove vengono presentati con una interfaccia intuitiva tutti i dati metereologici disponibili per gli ultimi tre anni in provincia di Bolzano, dalla temperatura alla neve passando per il vento e la pressione atmosferica. Genova e Rossi però non sono informatici: il primo è un ecologo dottorando di unibz oggi in forze al Centro internazionale di riferimento e informazione sul suolo (ISRIC) di Wageningen, in Olanda, il secondo invece è un geografo dell’Istituto per l’osservazione della Terra di Eurac Research. Eppure, per loro usare linguaggi di programmazione come R, Python o JavaScript è del tutto “normale”. Certo, si rendono conto di essere più allenati ed esperti di altri colleghi, ma sono rappresentanti di una giovane comunità scientifica per cui avere almeno competenze base di programmazione Open Source è un aspetto indispensabile del lavoro di ricerca, o almeno dovrebbe esserlo.

La normalizzazione dell’innovazione

“Non puoi mica più fare ricerca con grandi quantità di dati usando fogli excel!”, esordisce tranchant Rossi. “Non importa poi quale linguaggio informatico usi, quello lo scegli in base al risultato che devi raggiungere, ma quello che è certo è che devi organizzare le grandi masse di dati in programmi adeguati. Nella mia università, a Würzburg, mi hanno spinto molto verso le data sciences; in generale le università però fanno fatica”.
“Sicuramente serve ancora alfabetizzare e sicuramente si tratta di una questione generazionale, ma anche chi ha meno familiarità con questi strumenti dovrebbe avere la visione e capire le potenzialità”, ribadisce Genova. “È da un po’ che l’Open Source ha vinto”.
Sulla maggioranza degli over 35 l’Open Science ha l’effetto dei fax su mia nonna. Siamo grati ai software aperti che possono essere modificati, arricchiti o corretti da chiunque sappia metterci le mani perché ci danno accesso a un mucchio di informazioni utili – basti pensare solo a Wikipedia, ma anche tutti i portali interattivi per consultare i risultati elettorali o l’andamento della pandemia – ma non ci rendiamo bene conto di come funzionano.
Le prime battaglie ideologiche contro i software proprietari, cioè a pagamento e non customizzabili se non a carissimo prezzo dalle aziende produttrici come Microsoft o Adobe, risalgono agli anni ottanta ed erano portate avanti da un manipolo di informatici professionisti. “Un po’ hippy” li definisce Genova; e a guardare capelli lunghi e barbone di Richard Stallman, attivista statunitense della prima ora, non gli si può dar torto. (E nemmeno ad ascoltare la canzone che Stallman ha scritto per osannare il software libero)
Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata: in chi oggi si crea un pezzo di codice per gestirsi meglio i risultati di esperimenti in un laboratorio biomedico o i dati di test ingegneristici l’essenza hippy è sfumata. Anzi, sta sparendo anche la patina nerd. L’innovazione, semplicemente, si sta normalizzando.

Eccoti i miei codici!

“Ecco il link ai miei codici, se vuoi lavorarci, datti da fare”, così Rossi ha risposto a Genova la prima volta che lo ha contattato. E lui, Genova, si è dato da fare sul serio.
Per la sua tesi di dottorato Rossi aveva lavorato con i dati metereologici messi a disposizione dalla Provincia autonoma di Bolzano in modalità Open Source. Se li era sistemati per le proprie esigenze. Genova lo era venuto a sapere, si è guardato il lavoro, ma secondo lui ancora i dati erano ancora presentati in modo difficile: “Andava bene per gli addetti ai lavori, ma non potevi consultarli in modo intuitivo”. Così quando ha ricevuto il codice si è messo a fare prove. Non era esperto di R – un software nato per usi principalmente statistici che oggi viene usato anche più in generale per visualizzare i risultati di ricerche in database – ma ha studiato, si è guardato ore di tutorial online.
Del resto, è un circolo virtuoso. “Ora che persino le grandi case informatiche offrono parti di software aperti ci sono sempre più occasioni per imparare e sperimentare”, precisa Rossi. “E con l’Open Source si collabora meglio, più velocemente”. Dopo pochi mesi e innumerevoli scambi di messaggi i due studiosi fino a poco prima sconosciuti hanno completato il Meteobrowser. Al centro una mappa interattiva: per leggere i dati puoi cliccare sulle icone che indicano le stazioni di rilevamento, ma puoi anche selezionarti un’area geografica; inoltre puoi sceglierti l’intervallo temporale che ti fa più comodo. Qualunque utente riesce a farlo in modo intuitivo. E i dati sulla navigazione lo confermano. Online da agosto 2019, il sito ha ricevuto oltre 6.000 visite e non sono mancati i contatti diretti. “Lo usano colleghi per pianificare le loro campagne di misurazione, ci hanno scritto geologi e aziende che si occupano di innevamento, ma anche professionisti che non avremmo immaginato avrebbero potuto interessarsi, come i gestori di un salumificio”, ricorda Genova. “Davvero si collabora meglio se si condivide”, ripete Rossi.

Sulla scorta di questa convinzione, dopo Meteobrowser i due giovani studiosi hanno fondato una sorta di club: BolzanoR. Una ventina di persone di Eurac Research, unibz, Provincia e liberi professionisti che si riunivano una volta a settimana. A turno si presentava un caso e insieme discutevano di problemi, suggerimenti, idee. La pandemia li ha frenati: “una community non la puoi far crescere online”. Con l’Open Source si collabora meglio, davanti a qualche birra e con tanta pratica ancora di più.

Chi ha vinto l’edizione 2021 degli Open Research Award di Eurac Research


I due premi principali sono andati a:

  • gruppo "Language Technologies (LT)" dell'Istituto di linguistica applicata le cui attività si svolgono in modo trasversale tra varie discipline, lingue e comunità e si esprimono nella partecipazione attiva e nel coordinamento di iniziative volte a riunire le persone, invitarle a partecipare alla ricerca e fornire buone pratiche. (leggi l'intervista)

  • Johannes Rainer, leader del gruppo di lavoro "Computational Metabolomics" nell'Istituto di biomedicina, che ha definito strumenti e pratiche di successo per una ricerca aperta, collaborativa e riproducibile. Il suo impegno a favore di un approccio collaborativo sta influenzando l'atteggiamento dei data scientists dell'Istituto e sta dando contributi importanti anche alle comunità internazionali di chi usa i software R e Bioconductor. (leggi l'intervista)

I due premi per le carriere agli esordi vanno a:

  • Alberto Scotti, Istituto per l'ambiente alpino, la cui ricerca sugli insetti acquatici come sentinelle dei cambiamenti ambientali è stata condotta seguendo l'ideale della cultura dell’Open Research e con l'obiettivo di condividere ogni risultato della ricerca. (leggi l'intervista)

  • Giulio Genova, Istituto per l'ambiente alpino, e Mattia Rossi, Istituto per l'osservazione della Terra, che, collaborando strettamente, hanno sviluppato strumenti Open Source che, tramite interfacce semplici da usare, permettono non solo ai ricercatori ma anche ad altri utenti con minime competenze di programmazione di accedere e analizzare dati meteorologici e ambientali.

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