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L’ottimista soffre meno

Come i temperamenti affettivi influiscono sulla percezione del dolore

by Valentina Bergonzi

Un’analisi epidemiologica rivela la correlazione tra i temperamenti, cioè alcuni tratti innati della personalità, e la sensibilità al dolore. Ai ricercatori interessa il risultato (le persone ottimiste sono meno sensibili), ma soprattutto come ci sono arrivati, cioè studiando un campione di popolazione generale, senza problemi conclamati.

Qualche anno fa mi sono prestata insieme ad altri colleghi per “testare” la sequenza di esami previsti per i partecipanti allo studio di popolazione CHRIS. Era un modo per dare una mano alle infermiere a ottimizzare l’organizzazione e una occasione per noi per capire dall’interno come funziona lo studio. Tra le tante prove, una la ricordo come fosse ora: quella del dolore. Mi hanno pigiato sul palmo della mano una specie di bastoncino di metallo e dovevo dire “stop” appena sentivo dolore. Cinque, sei secondi? Non credo di aver resistito di più. In testa mi ronzava un unico pensiero: che mezza calzetta che sei. Tua nonna prendeva le pentole senza presine e tu non reggi neanche a una piccola pressione…
Già, ma cosa rendeva mia nonna più resistente? Si sarà mica deteriorata la specie? Cosa fa sì che qualcuno sopporti di più il dolore?

Secondo uno studio recentemente pubblicato sulla rivista “Journal of Affective Disorders”, che utilizza proprio dati derivanti dallo studio di popolazione CHRIS, c’entrano la percezione soggettiva e le esperienze acquisite, ma c’entra anche il temperamento affettivo, che si può spiegare come il “tono basale dell’emotività”, cioè la base predeterminata dal punto di vista genetico che influenza l’intensità e l’ampiezza delle emozioni che tutti noi proviamo.
“Chi ha tratti di temperamento più inclini all’ansia e all’instabilità – noti come ‘temperamenti ciclotimico correlati’ – è più sensibile al dolore, mentre gli ottimisti e pieni di energia– detti nel linguaggio tecnico ‘ipertimici’ – sono più ‘protetti’”, spiega Ettore Favaretto, psichiatra e psicoterapeuta, responsabile del Centro di salute mentale di Bressanone e primo autore dello studio. “Il risultato non ci coglie di sorpresa, ma va ben al di là delle aspettative, ed è particolarmente interessante perché deriva dall’analisi dei dati di 3.804 persone tra i 18 e i 65 anni provenienti dalla popolazione generale altoatesina e non si tratta di un campione selezionato in base a un determinato temperamento o per la presenza di una particolare patologia”.

I test sui partecipanti CHRIS

Le persone partecipanti allo studio sono state sottoposte a due test che analizzano aspetti diversi del nostro rapporto con il dolore.
Il primo test riguardava la soglia del dolore, misurato con l’algometro a pressione, lo strumento con il bastoncino in metallo che in questa fase dello studio CHRIS veniva premuto sul polpastrello del dito indice, anziché sul palmo. In media, i partecipanti chiedevano lo “stop” quando veniva raggiunta una forza di pressione pari a 3,1 kg/cm2, come se ti appoggiassero sull’unghia di un indice due bottiglie grandi di aranciata.

“Per ragioni etiche non potevamo ovviamente sottoporre i partecipanti a un dolore sopra soglia, da qui il ricorso a domande su eventi vissuti o situazioni immaginate”.

Ettore Favaretto

Il secondo test era un questionario sulla sensibilità al dolore (PSQ - Pain Sensitivity Questionnaire), composto da 17 domande: ai partecipanti si chiedeva di ricordare o immaginare la propria reazione in situazioni tipicamente oltre la soglia del dolore, per esempio sbattere lo stinco contro uno spigolo o chiudersi le dita in un cassetto. Quanto male si era provato o quanto male si immagina di provare su una scala da zero a 10?
“Per ragioni etiche non potevamo ovviamente sottoporre i partecipanti a un dolore sopra soglia, da qui il ricorso a domande su eventi vissuti o situazioni immaginate”, precisa Favaretto.
I risultati di questi test sono stati quindi incrociati con quelli sui temperamenti affettivi.

Quali sono i temperamenti affettivi e come si misurano

La ricerca moderna considera cinque temperamenti affettivi: ansioso, irritabile, depressivo e ciclotimico – caratterizzati da umore instabile, aspetti ansiosi e depressivi –, e ipertimico – tipicamente solare, positivo e carico di energia.
Si individuano in genere tramite questionari di autovalutazione. Per lo studio svolto all’interno di CHRIS i ricercatori hanno scelto una versione breve del test TEMPS-M (Temperament Evaluation of Memphis, Pisa, Paris and San Diego-Modified): 35 affermazioni da commentare con risposte che vanno da “no” a “moltissimo” e che indagano la natura della persona. Per esempio: la gente mi dice che non sono capace di vedere il lato buono delle cose; da che mi ricordo sono sempre stato un tipo che si preoccupa per ogni cosa; oscillo continuamente tra il sentirmi troppo sicuro ed insicuro di me stesso; quando mi contraddicono posso arrivare a litigare.
I ricercatori non hanno attribuito a ogni partecipante un temperamento solo. “Per avere risultati comparabili tra loro, a ogni persona abbiamo dato un punteggio su una scala uniforme per ognuno dei temperamenti. Sono questi i dati che abbiamo incrociato con i risultati sulla sensibilità al dolore”, spiega Roberto Melotti, biostatistico di Eurac Research.

“Per quanto riguarda la soglia di dolore misurata sperimentalmente con l’algometro, chi ha minore sensibilità aspetta più a lungo prima di dire ‘stop’, mentre i temperamenti ciclotimico correlati hanno una soglia più bassa e interrompono prima l’esperimento”.

Roberto Melotti
© E Favaretto et al. Journal of Affective Disorders. 2022;316:209-216; doi:10.1016/j.jad.2022.08.015. https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/
E Favaretto et al. Journal of Affective Disorders. 2022;316:209-216; doi:10.1016/j.jad.2022.08.015. https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/

La colonna di sinistra mostra i risultati sulla sensibilità al dolore. Negli ipertimici, cioè gli ottimisti, è più bassa (lineette orizzontali più a sinistra), vale a dire immaginano di provare poco dolore nelle situazioni proposte dal questionario. “La situazione è chiaramente speculare per quanto riguarda la soglia di dolore misurata sperimentalmente con l’algometro: chi ha minore sensibilità aspetta più a lungo prima di dire ‘stop’ (lineette orizzontali più a destra per la categoria ipertimici), mentre i temperamenti ciclotimico correlati hanno una soglia più bassa e interrompono prima l’esperimento”, continua Melotti.

E adesso, che si fa con questa informazione?

Adesso si continua a studiare, per esempio se la correlazione temperamenti affettivi-percezione del dolore vale anche per altri aspetti della vita delle persone, come la qualità del sonno. “Sono tutti studi che vanno nella direzione della medicina personalizzata. Finora si è guardato ai temperamenti soprattutto in quanto precursori di condizioni psichiatriche conclamate, in particolare legate al disturbo bipolare e la depressione maggiore. Ma ora abbiamo dimostrato che influiscono significativamente anche su altre caratteristiche fisiche e aspetti fisiologici nella popolazione generale. Abbiamo dimostrato quello che diceva lo scrittore Scott Fitzgerald, e cioè che ‘di tutte le forze naturali, la vitalità non si può trasmettere. […] Si ha o non si ha, come la salute o gli occhi marroni’”, spiega Favaretto, che si augura: “A questo punto, si potrebbe per esempio arrivare a modulare la terapia contro il dolore cronico anche tenendo conto dei profili di temperamento”. Ma per questo c’è ancora molto da capire perché per i ricercatori i dati derivanti dalla ricerca sono piuttosto scarsi. Soprattutto bisognerebbe capire tramite studi mirati se l’uso o forse anche l’abuso di farmaci antidolorifici sia influenzato dal temperamento affettivo prevalente. Cosa peraltro già nota, per esempio, nel campo delle dipendenze sia da alcool che da sostanze.

Quanto a me, be’, mi sento deresponsabilizzata per la mia performance fiacca ed è una bella sensazione: sicuramente se mi allenassi a spostare pentole bollenti tutti i giorni le mie mani si rafforzerebbero, ma non c’è una prova migliore o peggiore. Siamo fatti così. Diversi.

Piccolo approfondimento: personalità, temperamento e carattere


La personalità di una persona è composta da due elementi: il temperamento, predefinito dal punto di vista biogenetico, e il carattere, cioè l’insieme di esperienze vissute, educazione e influssi ambientali. In ognuno convivono normalmente tratti di temperamenti diversi. Solo in una percentuale che arriva fino al 10 per cento della popolazione c’è un temperamento che domina nettamente sugli altri.
Le persone in cui domina il temperamento ipertimico, cioè ottimista, sono spesso personaggi carismatici, che trascinano i gruppi.
Le persone in cui dominano i temperamenti ciclotimici sono predisposte a sviluppare disturbi affettivi più o meno gravi, come l’ansia, la depressione o disturbi bipolari. Il contesto e le esperienze sono fondamentali in questo senso per contenere il rischio.

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