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“Ci vuole il tempo che ci vuole”

Perché gli accordi di pace “paracadutati” non resistono nel tempo

© SpaceX on Unsplash
by Daniela Mezzena

Il 40 per cento degli accordi di pace fallisce entro cinque anni dalla firma. Sergiu Constantin, giurista di Eurac Research, e Natalia Mirimanova, studiosa ed esperta in risoluzione dei conflitti, si confrontano sull’importanza di un percorso di pace condiviso tra le parti coinvolte e sul ruolo della comunità internazionale. I due relatori sono intervenuti alla summer school sui diritti umani e delle minoranze di Eurac Research. Funzionari governativi e professionisti di organizzazioni internazionali e non governative si sono riuniti a Bolzano per confrontarsi su temi legati all’autonomia.

L’autonomia potrebbe essere uno strumento per la prevenzione e la risoluzione dei conflitti, ma quali condizioni devono verificarsi perché questo accada?

Sergiu Constantin: Il buon funzionamento di un’autonomia dipende soprattutto dall’interazione tra le dimensioni politica, giuridica e istituzionale del rispettivo sistema di autogoverno. Simbolicamente si può pensare all’autonomia come a una casa in cui la dimensione politica rappresenta le fondamenta, quella giuridica i pilastri strutturali e quella istituzionale il tetto. L’autonomia, in generale, è percepita come un concetto giuridico vago e questo rappresenta allo stesso tempo la sua forza e la sua debolezza. Le persone hanno diverse concezioni di autonomia e, nella pratica, esistono varie forme di autonomia che vanno da semplici associazioni culturali con poche competenze a entità territoriali complesse con ampi poteri legislativi, esecutivi e giudiziari. Questa vaghezza permette un certo grado di flessibilità e questa è anche la forza dell’autonomia perché è possibile adattarla a differenti contesti e alle loro caratteristiche.

Natalia Mirimanova, lei ha un lunga esperienza sul campo come mediatrice nei processi di pace, quale è la sua esperienza?

Natalia Mirimanova: Dal punto di vista di chi aiuta le parti coinvolte in un conflitto a trovare una soluzione accettabile, mi sento di sottolineare che spesso l’autonomia è considerata un compromesso. Nessuna delle parti la considera ideale. L’importante è quindi trovare dei modi affinché l’autonomia venga vista da entrambe le parti come una soluzione che migliora le reciproche posizioni: deve essere percepita come un win-win, non un lose-lose. Il 40 per cento degli accordi di pace fallisce entro cinque anni dalla firma. Questo significa che forse qualcosa è andato storto nel processo, nel modo in cui si è svolto, c’era risentimento da una o da entrambe le parti per decisioni che non sono state considerate eque. Di base non c’è stata una riconciliazione.

E come si può arrivare a una soluzione condivisa?

Mirimanova: Dal punto di vista della risoluzione del conflitto la formula che si trova è importante tanto quanto la relazione tra le parti. Quale è lo scopo di avere un piano di autonomia perfetto se poi le parti si odiano e le persone non si parlano? Quando lavoro come mediatrice in un processo, preferisco sempre che le parti tirino fuori da sole elementi di autonomia. Non è importante raggiungere la perfezione: le autonomie resistono meglio se sono co-progettate.

Constantin: Le parti possono avere una diversa concezione dell’autonomia e parlarsi senza capirsi. Per questo è importante che le parti coinvolte siano a conoscenza di vari esempi di autonomie ben funzionanti, che però possono servire solo come ispirazione da adattare al contesto in questione.

Quando lavoro come mediatrice in un processo, preferisco sempre che le parti tirino fuori da sole elementi di autonomia

Natalia Mirimanova

Quale è il ruolo della comunità internazionale in questo processo?

Mirimanova: Abbiamo spesso l’immagine dell’esperto internazionale che viene paracadutato in una zona di conflitto e stende la bozza di questo meraviglioso piano strategico e di implementazione che poi spesso non funziona. La progettazione e l'implementazione delle modalità di co-esistenza pre o post conflitto richiedono tempo e impegno. Sfortunatamente il sistema delle relazioni e delle organizzazioni interazionali è gravato da un grosso peso burocatico. Il motto è:“Risolviamo il problema in fretta e festeggiamo”. Ma noi sappiamo che il processo di pace richiede un decennio. Non sono pessimista, penso solo che a volte ci sia uno scarso impegno da parte di soggetti terzi internazionali nell'ascoltare veramente le parti al di là della cerchia più ovvia di funzionari e politici di alto livello, nell'aiutarle a impegnarsi reciprocamente in modo non violento e non prevaricante. Spesso si ritiene che non sappiano cosa vogliono, e si pensa che "noi esperti ne sappiamo di più". Per non parlare dell'agenda esplicita o implicita di terze parti.

Quindi le organizzazioni internazionali dovrebbero fare un passo indietro?

Mirimanova: Dipende. In generale direi che le organizzazioni internazionali non hanno molto successo, considerate le risorse economiche e il potere politico di cui dispongono. La probabilità di successo dipende anche dalla composizione delle organizzazioni e dal loro mandato. Alcune hanno una struttura che non permette la flessibilità, ad esempio, di negoziare con i separatisti. È sempre un tema molto complesso e sensibile. Alcuni stati membri dell’ONU non acconsentirebbero all’invio di mediatori nel loro territorio. Alcuni gruppi di separatisti vengono etichettati come terroristi, come i curdi in Turchia, e diventa impossibile per le organizzazioni intergovernative impegnarsi in una mediazione equa in cui entrambe le parti sono presenti. Questa è una parte del problema. In secondo luogo, è nella natura delle organizzazioni internazionali questa sorta di “procedura del paracadutista”. Allocano denaro e operano dal punto di vista del progetto piuttosto che del processo, fissano una scadenza senza capire che il dialogo o il processo di pace richiedono il tempo che richiedono. Coordinamento e cooperazione sono un altro grande tema quando più organizzazioni mediano nello stesso contesto senza considerare chi è arrivato prima o cosa era già stato fatto.

È difficile trovare la giusta misura tra troppo e troppo poco coinvolgimento da parte delle organizzazioni internazionali

Sergiu Constantin

Quindi le organizzazioni internazionali dovrebbero fare un passo indietro?

Mirimanova: Dipende. In generale direi che le organizzazioni internazionali non hanno molto successo, considerate le risorse economiche e il potere politico di cui dispongono. La probabilità di successo dipende anche dalla composizione delle organizzazioni e dal loro mandato. Alcune hanno una struttura che non permette la flessibilità, ad esempio, di negoziare con i separatisti. È sempre un tema molto complesso e sensibile. Alcuni stati membri dell’ONU non acconsentirebbero all’invio di mediatori nel loro territorio. Alcuni gruppi di separatisti vengono etichettati come terroristi, come i curdi in Turchia, e diventa impossibile impegnarsi in una mediazione equa in cui entrambe le parti sono presenti. Questa è una parte del problema. In secondo luogo, è nella natura delle organizzazioni internazionali questa sorta di “procedura del paracadutista”. Allocano denaro e operano dal punto di vista del progetto piuttosto che del processo, fissano una scadenza senza capire che ci vuole il tempo che ci vuole. Coordinamento e cooperazione sono un altro grande tema quando più organizzazioni mediano nello stesso contesto senza considerare chi è arrivato prima o cosa era già stato fatto.

Constantin: In effetti, è difficile trovare la giusta misura tra troppo e troppo poco coinvolgimento da parte delle organizzazioni internazionali. Naturalmente, esistono anche casi di successo. Penso dipenda molto anche dalla tempestività dell’intervento. Le probabilità di riuscita aumentano se la violenza non è ancora esplosa e se si riesce a mettere in contatto i rappresentanti delle parti avversarie offrendo loro forti incentivi, sia politici che finanziari. Importante è anche mantenere il coinvolgimento e il sostegno, non ha senso svolgere un intervento una tantum e poi abbondonare il campo. Penso al caso della Macedonia del nord. Durante il conflitto etnico del 2001 sia Ue che USA intervennero prontamente portando al tavolo dei negoziati le comunità albanese e macedone. Al paese fu offerto un forte incentivo politico - l'opportunità di essere il primo paese dei Balcani occidentali a firmare l'Accordo di stabilizzazione e associazione con l'Unione Europea - e un consistente pacchetto di aiuti finanziari. Questo intervento tempestivo ha evitato una guerra su larga scala e ha aiutato le parti a negoziare e firmare l'accordo quadro di Ohrid che garantisce alla minoranza albanese un certo livello di autogoverno per quanto riguarda la cultura, l'istruzione, l’uso della lingua e l’uso dei simboli nazionali. L’UE, gli Stati Uniti e l’OSCE continuano a monitorare l’attuazione dell’accordo di Ohrid e a fornire assistenza tecnica e finanziaria al paese.

Le persone intervistate

Sergiu Constantin è ricercatore senior all'Istituto sui diritti delle minoranze di Eurac Research. Si è laureato in giurisprudenza all'Università di Bucarest (Romania) e ha conseguito un Master in Studi europei presso l'Università di Graz (Austria). I suoi progetti di ricerca riguardano la governance della diversità, con particolare attenzione ai diritti linguistici, alla partecipazione politica e agli accordi di autonomia territoriale/culturale in Europa e oltre. Su questi temi ha pubblicato numerosi articoli e capitoli di libri. Le sue più recenti attività di consulenza riguardano i progetti intrapresi dal Consiglio d'Europa e dall'Alto Commissario dell'OSCE sulle minoranze nazionali in Ucraina e nella Repubblica di Moldova.

Le persone intervistate

Natalia Mirimanova è una studiosa ed esperta in risoluzione dei conflitti. Ha un'esperienza di oltre venticinque anni in mediazione, ricerca, progettazione di processi di dialogo e di pace, iniziative di peacebuilding e di advocacy in Russia, Caucaso meridionale, Asia centrale, Moldavia, Ucraina, Balcani occidentali, Europa orientale e Cipro. Ha conseguito il dottorato di ricerca presso l'Institute for Conflict Analysis and Resolution alla George Mason University (USA) e ha lavorato come consulente per diverse organizzazioni internazionali, nazionali e locali, tra cui la missione ONU a Cipro e in Tagikistan, il Centro regionale ONU per la diplomazia preventiva in Asia centrale (UNRCCA), il polo regionale per l'Eurasia del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), il Centro per l'Assemblea parlamentare e la prevenzione dei conflitti dell'OSCE, l'Ue, la Fondazione Aga Khan, il SIPRI, il Centro per il dialogo umanitario e altri.

Summer School on Human Rights, Minorities and Diversity Governance


La "Summer School on Human Rights, Minorities and Diversity Governance" è un programma post-laurea organizzato dall'Istituto sui diritti delle minoranze di Eurac Research. La summer school offre a studenti post-laurea, funzionari pubblici, giornalisti, operatori di ONG e altri interessati l'opportunità di ampliare le proprie conoscenze sui diritti umani e delle minoranze, sulla diversità e sulla governance territoriale. Ogni anno il programma è incentrato su un tema diverso.

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