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Impronte antiche

Intervista con il microbiologo Mohamed Sarhan

Rainer Straub
© | Rainer Straub
by Rachel Wolffe

Dall’Egitto all’Italia passando per la Germania: ecco come l’indagine di Mohamed Sarhan sui microbi delle piante e del suolo potrebbe cambiare la bioarcheologia così come la conosciamo.

Per definizione, la bioarcheologia è lo studio dei resti umani in contesti archeologici. I risultati ottenuti con l’indagine del DNA, le TAC e l’analisi isotopica, tra gli altri, ci permettono di comprendere la vita degli esseri umani del passato senza l’interferenza di alcun pregiudizio storico. Sono i resti stessi a fornire informazioni sulle esperienze vissute dagli individui, non i testi o le opere d’arte che potrebbero aver interpretato le cose in una particolare prospettiva. Analizzando i resti, i bioarcheologi possono dire che tipo di dieta seguivano i nostri antenati, a quali malattie erano soggetti e di quali soffrivano, quanto era stata sana la loro infanzia, dove vivevano e come sono morti.
I resti scheletrici forniscono alcune delle prove più dirette delle esperienze vissute in passato. Ma le nuove scoperte dell’Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research potrebbero mettere in discussione questa ipotesi, dandole del filo da torcere.

Mohamed Sarhan è microbiologo e biotecnologo. L’esperienza nell’ambito del microbioma delle piante maturata nel suo paese d’origine, l’Egitto, gli è valsa una posizione all’istituto bolzanino, dove, in laboratori d’avanguardia, si analizza il microbioma di scheletri e mummie di diversi periodi storici provenienti da tutto il mondo per acquisire conoscenze non solo sulla storia delle popolazioni, ma anche sullo sviluppo di agenti patogeni e sulla conservazione dei reperti archeologici.

Come sei passato dallo studio delle piante e del suolo in Egitto allo studio di una mummia di 5.300 anni nel Nord Italia?

Mohamed Sarhan: Innanzitutto sono egiziano, quindi le mummie sono nel mio sangue. Detto questo, si tratta fondamentalmente di microbiologia. Io sono un microbiologo che si occupa principalmente di colture dei microbi. Durante il mio master, ci siamo concentrati soprattutto sullo sviluppo di tecniche per le colture di nuove specie di batteri e funghi. In seguito ho studiato bioinformatica per analizzare i big data che di solito otteniamo utilizzando la metagenomica e il sequenziamento di nuova generazione. Tecnica e scienza: in fondo sono le stesse cose che servivano all’Uomo venuto dal ghiaccio. E io sono entrato a far parte di Eurac Research durante il mio PhD per un progetto dedicato proprio alla conservazione di Ötzi: volevamo valutare lo stato di conservazione della mummia utilizzando un approccio multidisciplinare e per questo abbiamo deciso di includere alcune tecniche per analizzare ogni possibile forma di vita microbica presente nella mummia. Impiegando alcune delle tecniche sviluppate durante il mio master e utilizzando strumenti bioinformatici, ho potuto lavorare sui microbiomi antichi più o meno nello stesso modo con cui avevo studiato i microbiomi moderni, con alcune considerazioni aggiuntive. Queste tecniche possono essere applicate anche a campioni clinici, di suolo o di cibo: è solo microbiologia.

Cosa può rivelare?

Sarhan: È un lavoro molto esplorativo che ci serve per capire chi è chi, o cosa c’è lì dentro. Se i microbi sono davvero vivi o se ci sono ancora cellule microbiche vitali nella mummia, o se si tratta semplicemente di resti di microbi antichi. Una volta che iniziamo ad analizzare o a fare test per differenziare questi gruppi, possiamo distinguere quelli antichi da quelli moderni o vitali. Poi iniziamo a studiare i microbi vitali per valutare se possano danneggiare o degradare la mummia in futuro.

Egitto e Bolzano, dove altro ti ha portato la ricerca di antichi microbiomi?

Sarhan : Ah, la tappa successiva è stata la Germania: un partner dell’Università di Tubinga si è rivolto all’Istituto per chiedere aiuto nell’analisi di alcuni resti umani rinvenuti nella grotta acquatica di Wimsener, nel Baden-Württemberg. Stavano realizzando un documentario scientifico per un programma televisivo chiamato Terra X. I colleghi avevano trovato alcuni resti apparentemente antichi di uno scheletro umano incastonati negli speleotemi della grotta – formazioni geologiche causate da depositi minerali. Ma sulla base dell’analisi antropologica morfologica delle ossa non erano riusciti a determinarne il sesso. Ci hanno quindi contattato per un’analisi basata su tecniche molecolari. Abbiamo ricevuto i campioni dall’università e abbiamo iniziato le nostre indagini. Le ossa erano coperte da uno strato di depositi di calcite. Da microbiologo ero interessato, da un punto di vista puramente ecologico, ad analizzare sia l’osso sia le parti in pietra, per vedere se alcuni microbi molto specifici abitassero quello spazio particolare. Infatti, siamo riusciti a trovare anche alcuni interessanti microbi acquatici, o specifici per l’acqua. Dopo alcune discussioni con il mio supervisore, Frank Maixner, abbiamo deciso che sarebbe stato interessante analizzare anche il DNA umano presente nei depositi di calcite aderenti a queste ossa. Sorprendentemente, analizzando questi depositi, siamo riusciti a trovare il DNA mitocondriale completo. Le informazioni erano esattamente le stesse ottenute dalle ossa. È stato un momento di svolta, che ha dato inizio a un nuovo capitolo. Con una convalida più approfondita di questo metodo, in futuro potrebbe non essere più necessario utilizzare le ossa vere e proprie per analizzare il DNA.

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Prelievo di campioni di ossa per analizzarne il DNA, documentario Terra X, grotta di Wimsen - Rainer Straub© - Rainer Straub
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Sorprendente! Dipende dalla porosità del materiale circostante? Pensi che materiali diversi nascondano altrettante informazioni?

Sarhan: Esatto, dipende dalla porosità, ma dipende anche dallo stato dell’osso o del tessuto o dal tipo di resti umani. L’osso stesso, per la sua conformazione, può contenere tutte le informazioni del DNA. Questo perché il DNA stesso ha carica negativa e il calcio presente nell’osso ha carica positiva: diciamo che questa situazione crea affinità del DNA con la conformazione dell’osso . E poiché abbiamo anche degli strati di calcite che avvolgono l’osso, potenzialmente la carica positiva di questo strato potrebbe anche avere un impatto maggiore – forse anche più che se ci fosse l’osso da solo: Cioè il DNA è attratto dai depositi di calcite, un po’ come l’acqua in una spugna.

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Dettaglio di una sezione di tibia, con l’indicazione dei punti di prelievo dei campioni per l’analisi del DNA

Avete eseguito queste indagini anche altrove?

Sarhan: Be’, sì, abbiamo analizzato anche una mummia proveniente da Basilea, in Svizzera: Anna Catharina Bischoff, moglie di un ecclesiastico del XVIII secolo e parente, come scoperto di recente, di un protagonista dei giorni nostri… La mummia è stata ritrovata sotto la chiesa dei Barfüsser di Basilea negli anni settanta, durante i lavori di ristrutturazione. Era così ben conservata grazie agli alti livelli di mercurio con cui probabilmente era stata trattata in vita. Noi abbiamo esaminato gli abiti e i tessuti trovati sotto la mummia: siamo riusciti a individuare non solo del DNA umano, ma anche del DNA microbico. E l’aspetto più impressionante è che abbiamo ricostruito il genoma di un microbo che abbiamo ipotizzato fosse legato alla sua malattia. Dunque non solo il DNA umano, ma anche quello dell’agente patogeno che probabilmente ha causato la morte della persona poi mummificata.

È stato un momento di svolta, che ha dato inizio a un nuovo capitolo. Con una convalida più approfondita di questo metodo, in futuro potrebbe non essere più necessario utilizzare le ossa vere e proprie per analizzare il DNA.

Mohamed Sarhan
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Anna Catharina Bischoff (nata il 23 marzo 1719 a Strasburgo e sepolta il 30 agosto 1787), conosciuta anche come la mummia della chiesa dei Barfüsser. © Own work, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons
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Una somiglianza misteriosa? © https://www.standard.co.uk -© https://www.standard.co.uk

Wow, solo dai suoi abiti? È pazzesco!

Sarhan: E c’è di più. Abbiamo trovato DNA umano anche nella condensa che si forma sulla mummia dell’Uomo venuto dal ghiaccio nella camera umida e refrigerata dove viene conservata in modo da replicare le condizioni che l’hanno mantenuta per oltre 5.000 anni. Dalla umidità inevitabilmente persa dalla mummia siamo cioè riusciti a ricostruire alcune parti del microbioma, l’intero DNA mitocondriale e anche alcune parti del genoma di Ötzi – solo dall’acqua!

L’impatto di queste tecniche è immenso. Cosa succederà ora?

Sarhan:Si tratta di campioni diversi, mummificati con metodi diversi e conservati in condizioni diverse. Ognuno di questi resti è anche molto diverso in termini di grado di conservazione. Ora abbiamo bisogno di convalidare i metodi e di estendere l’analisi ad altri campioni, per testare le tecniche anche in altre condizioni di mummificazione e forse anche per utilizzarla su alcune mummie egizie. Quando si tratta di estrarre il DNA delle mummie egizie si incontrano infatti vari ostacoli: forse possiamo usare questo come metodo convalidato per poter davvero suggerire che è possibile analizzare il DNA umano senza toccare il resto umano stesso – un approccio che è anche più etico.

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About the Interviewed

Prima di entrare nei ranghi dell’Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research, Mohamed Sarhan ha conseguito una laurea in biotecnologia, un master in microbiologia e uno in patologia vegetale e gestione integrata dei parassiti all’Università del Cairo, all’Istituto per la coltivazione di ortaggi e piante ornamentali di Leibniz e all’Istituto agronomico internazionale di Bari (CIHEAM Bari). Come dottorando, ha studiato il microbioma e la meta-genomica. Il suo background gli ha permesso di entrare a far parte del team che studia la conservazione di Ötzi: lì ha effettuato valutazioni microbiologiche dello stato della mummia per fornire raccomandazioni su possibili future tecniche di conservazione dell’equipaggiamento e degli strumenti dell’Uomo venuto dal ghiaccio.

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