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“L’unicità di ogni persona può diventare un vantaggio per l’azienda”

Presentati i primi risultati di uno studio sul diversity management in Alto Adige

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Soggetto fotografato: Buba Suwareh Fotografa: Asia De Lorenzi

La fotografia è parte del progetto Un’impronta del mondo in Alto Adige realizzato dall’Associazione Volontarius ODV con la direzione artistica di PianoB – Social Design, entrambi componenti del Gruppo Volontarius. Nasce da un’idea di Monica Rodriguez Natteri. Realizzato con il sostegno della Provincia Autonoma di Bolzano e del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

© Associazione Volontarius ODV  | Asia De Lorenzi

Asia De Lorenzi
by Daniela Mezzena

Marzia Bona, politologa di Eurac Research, racconta come le aziende altoatesine percepiscano la diversità e come la gestiscano quotidianamente. Da questo quadro, escono anche alcuni spunti per il futuro.

Cosa è il diversity management?

Marzia Bona: Il diversity management è un insieme di politiche, pratiche e azioni concrete che le aziende possono intraprendere a livello di gestione delle risorse umane per fare in modo che le diversità presenti in azienda siano gestite in modo da aumentare la capacità di innovare dell’impresa e, in generale, la sua performance.

Sono misure soft, nel senso che non sono prescritte per legge, ma sono scelte volontarie che l’azienda mette in atto per rendere un’opportunità, anziché un peso, la diversità. Diversità intesa come combinazione delle caratteristiche individuali (genere, età, origine, formazione, credo religioso…) che rendono ogni lavoratrice o lavoratore unico. È proprio la combinazione di queste caratteristiche che, se valorizzata, può davvero portare un beneficio all’azienda. Allo stesso tempo, grazie al diversity management lavoratori e lavoratrici vengono messi nella condizione di superare la segregazione occupazionale, quel circolo vizioso per cui determinati profili, caratterizzati da un certo tipo di diversità, faticano o sono del tutto impossibilitati dal ricoprire certe mansioni o dal fare carriera. Penso in particolare al personale che ha un background migratorio visibile.

Il tema oggi non è tanto l’accesso al mercato del lavoro, ma condizioni giuste e prospettive di crescita per tutte e tutti. Per citare Roosevelt Thomas, che a inizio anni ‘90 teorizzò il diversity management, "Le donne e le minoranze non hanno più bisogno di una carta d'imbarco, quanto delle condizioni per poter migliorare la propria posizione”.

Ci sono caratteristiche, e quindi diversità, più difficili da gestire rispetto ad altre?

Bona: Ci sono dimensioni, come quella del genere o della disabilità, che sono già riconosciute e normate dalla legge. Rispetto a queste, le aziende si dimostrano consapevoli della direzione da prendere. Quelle più complesse da gestire sono quelle per cui non ci sono norme precise. Qui si entra nel campo della diversità legata al background migratorio che è molto significativa, perché la presenza dei lavoratori e delle lavoratrici straniere diventa sempre più consistente all’interno del sistema economico: gli ultimi dati ci dicono che più del 13 per cento delle persone occupate in Alto Adige hanno origine straniera In questi casi la gestione è lasciata alla buona volontà delle imprese. Nello studio abbiamo scoperto realtà molto reattive e proattive, ma restano casi isolati.

Per esempio?

Bona: Nessuna delle aziende che abbiamo consultato, neanche quelle molto grandi, ha un piano strutturato di diversity management. Le misure messe in atto dalle aziende sono azioni isolate, ad esempio: programmi di mentorship, linee guida sulla sicurezza sul lavoro in più lingue, ma anche l’adeguamento dei menu nelle mense aziendali o la possibilità di usare il sistema della banca ore per accumulare permessi e prendere congedi più lunghi per tornare nei paesi di origine. C’è una varietà molto interessante di misure concrete, quello che manca è uno spazio in cui le aziende possano discutere di questo tema e condividere delle sfide. A livello nazionale, la Carta per le Pari Opportunità offre in questo senso riferimenti utili in termini di buone pratiche da adottare, possibilità di mettersi in rete con altre imprese che affrontano sfide simili per imparare attraverso il confronto.

C’è una varietà molto interessante di misure concrete, quello che manca è uno spazio in cui le aziende possano discutere di questo tema e condividere delle sfide

Marzia Bona

Che quadro dell’Alto Adige emerge?

Bona: C'è una percezione molto radicata del concetto di diversità che è il risultato della struttura istituzionale, della storia di questa provincia. C’è una buona dimestichezza con il concetto di diversità e anche una comprensione molto ampia: dal genere, all’affiliazione religiosa, all’età… . Esiste una valutazione gerarchica delle diversità: ce ne sono alcune che sappiamo gestire e di cui riconosciamo il valore per il buon funzionamento dell’azienda e ce ne sono altre con cui abbiamo meno dimestichezza e meno strumenti per fare in modo che siano effettivamente un valore aggiunto.

È emerso qualcosa di inaspettato?

Bona: Ci ha colpite la creatività e la sensibilità delle piccole aziende. Per loro potrebbe sembrare più complicato adottare misure di gestione della diversità, spesso non hanno neanche un dipartimento risorse umane. Invece, forse grazie a un contatto più diretto con i lavoratori e le lavoratrici e alla possibilità di adottare misure molto flessibili, hanno dimostrato una buona capacità di risposta.
Per lo studio abbiamo intervistato realtà negli ambiti più disparati: dalla grande industria all’agricoltura, ai servizi della persona. Il tema della diversità è ben presente in tutti i settori importanti per l’economia altoatesina e questo è un buon segnale.

Come è nata l’idea di svolgere questo studio?

Bona: Il Servizio provinciale di coordinamento per l’integrazione ci ha incaricato di esplorare l’inserimento e la progressione di carriera delle persone con un background migratorio. Per farlo siamo partite dalla definizione di diversity management da parte delle aziende. Abbiamo quindi esteso lo studio a tutti i tipi di diversità, per capire quali incidono maggiormente sulle aziende locali.

Avete qualche suggerimento per il futuro?

Bona: Nel contesto della provincia di Bolzano, che sconta in maniera crescente la mancanza di personale, adottare delle misure che valorizzino la diversità e che offrano un incentivo alle persone di candidarsi e/o a rimanere dentro l’azienda ci sembra una linea strategica da perseguire. A questo si collega il tema dell’accesso alla casa: sono molti lavoratori e lavoratrici a non trovare un’abitazione sia perché effettivamente l’offerta è bassa e gli affitti alti, ma anche a causa di discriminazione e pregiudizi. Alcune aziende addirittura fungono da garante per il lavoratore nei confronti del proprietario di casa; è un’arma a doppio taglio perché ovviamente vincola l’accesso alla casa all’essere dipendente di quella data azienda. Se vogliamo persone che lavorano nel sistema economico altoatesino dobbiamo anche mettere a loro disposizione delle risorse. Abitative, ma anche formative.

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Report "La diversità paga"

Risultati della prima fase del progetto

I risultati di questa prima fase dello studio sono stati presentati il 1 febbraio nel corso di un workshop rivolto agli stakeholder. Alle interviste qualitative rivolte ai datori di lavoro, seguirà una seconda fase in cui verrà raccolta la voce dei lavoratori e delle lavoratrici attraverso un questionario quantitativo in collaborazione con AFI/IPL.

Il gruppo di ricerca


Assieme a Marzia Bona, ricercatrice dell’Istituto per lo sviluppo regionale di Eurac Research, si sono occupate dello studio anche Verena Wisthaler e Johanna Mitterhofer, rispettivamente politologa e antropologa sociale dell’Istituto sui diritti delle minoranze. Le tre ricercatrici fanno parte di un gruppo di ricerca interdisciplinare che analizza il tema della migrazione e della diversità da diverse prospettive.

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