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Ötzi e i suoi inquilini

Intervista ad Albert Zink, studioso di mummie

© Eurac Research/Annelie Bortolotti
by Sigrid Hechensteiner, Barbara Baumgartner

Quali microbi vivevano su e in Ötzi? Com’era la flora intestinale degli esseri umani del passato, quali agenti patogeni davano loro del filo da torcere? Come è cambiata la colonizzazione batterica nel tempo? Grazie ai progressi tecnologici, la ricerca sulle mummie si occupa anche di questi quesiti. Gli studi sul microbioma di soggetti millenari non solo forniscono nuove informazioni sullo sviluppo della specie umana, ma anche la medicina moderna ne beneficia. Una conversazione con Albert Zink, direttore dell’Istituto per lo studio delle mummie di Eurac Research.

Nel 2016, il suo team di ricerca è riuscito a trovare tracce del batterio helicobacter pylori nello stomaco di Ötzi e a ricostruire il suo genoma di 5.300 anni fa. Perché è stato così importante?

Albert Zink: Intanto perché per la prima volta abbiamo fornito la prova che questo batterio accompagna gli esseri umani da così tanto tempo – lo si sospettava, ma solo sulla base di stime. Sorprendente è stato anche scoprire che il batterio presente in Ötzi assomiglia a una variante che si trova oggi principalmente in Asia: il ceppo europeo di helicobacter, che probabilmente è risultato dalla mescolanza di una variante asiatica e una africana, può quindi essere comparso solo dopo l’epoca di Ötzi; il che a sua volta significa che la storia della colonizzazione dell’Europa è più complessa di quanto si pensi. Inoltre, la struttura genetica dell'helicobacter di Ötzi conferma che poteva già causare malattie; non era quindi un simbionte che solo più tardi è diventato un patogeno. Tutto questo è interessante anche per la medicina moderna perché la conoscenza di come un tale batterio si è sviluppato e adattato negli esseri umani può fornire spunti per il trattamento.

Soprattutto con helicobacter, il tema delle cure è molto controverso.

Zink: Sì, ci sono davvero due fronti. Da un lato ci sono scienziati convinti che questo batterio, di cui si stima metà della popolazione mondiale sia portatrice, dovrebbe essere sradicato. Dall’altro lato c’è chi è dell’opinione che il trattamento dovrebbe essere fatto solo quando si verificano problemi, cioè quando helicobacter causa effettivamente gastrite o ulcere allo stomaco. L’argomento a sostegno di questa tesi è che se questo batterio ha vissuto nel nostro stomaco per così tanto tempo, probabilmente ha una funzione. Infatti, ci sono studi che dimostrano che chi ne è portatore è più protetto dal cancro all’esofago, per esempio, o da allergie e asma.

In generale, la ricerca medica sta appena scoprendo l’importanza della colonizzazione batterica – cioè i trilioni di microbi che vivono su e negli esseri umani. Si sospetta, per esempio, che la crescente suscettibilità a certe malattie sia legata al fatto che il microbioma umano si sta riducendo drasticamente a causa dello stile di vita della nostra civiltà occidentale – l’uso di antibiotici, per esempio, o la dieta con molti additivi. Una diversità molto maggiore di batteri è stata trovata in tribù che vivono isolate nella regione amazzonica. Questo indica che il microbioma umano era in origine più vario.

vogliamo ricostruire il microbioma di Ötzi. Certo non è facile, perché nelle mummie troviamo non solo i batteri originariamente presenti nel corpo, ma anche quelli che si sono aggiunti più tardi dall’ambiente, per esempio dall’acqua del ghiacciaio; e l’inizio del processo di decomposizione porta naturalmente anche a cambiamenti del microbioma – quindi dobbiamo prendere in considerazione tutti questi aspetti.

Albert Zink

Quindi anche Ötzi sarebbe stato popolato da una maggiore varietà di batteri, virus e funghi?

Zink: È quello che stiamo cercando di scoprire: vogliamo ricostruire il microbioma di Ötzi. Certo non è facile, perché nelle mummie troviamo non solo i batteri originariamente presenti nel corpo, ma anche quelli che si sono aggiunti più tardi dall’ambiente, per esempio dall’acqua del ghiacciaio; e l’inizio del processo di decomposizione porta naturalmente anche a cambiamenti del microbioma – quindi dobbiamo prendere in considerazione tutti questi aspetti. Probabilmente non riusciremo a rintracciare tutti i batteri, ma sulla base dei gruppi più importanti credo ricostruiremo almeno la variabilità. I primi risultati mostrano anche una grande diversità di microbi. Questo è in realtà quello che ci aspettavamo: Ötzi aveva una dieta varia – carne, cereali, varie erbe – e faceva molto esercizio fisico, non era in sovrappeso, non usava né antibiotici né nicotina: tutto a favore del microbioma. Sarà anche interessante confrontare la colonizzazione batterica di Ötzi con mummie di altre culture ed epoche.

Quindi non state studiando solo il microbioma di Ötzi?

Zink: No, vogliamo espandere l’indagine: abbiamo campioni di mummie dall’Egitto, dall’America centrale e meridionale, e probabilmente ne avremo anche una dalla Corea. Inoltre stiamo esaminando mummie provenienti da chiese qui in Europa – in un caso si sono conservati anche lo stomaco e il contenuto dell’intestino. Poi potremo fare dei confronti o collegare la colonizzazione batterica alla nutrizione, per esempio. Dagli isotopi presenti nelle ossa o nei denti potremo dedurre la composizione della dieta – se prevaleva la carne o il pesce, che tipo di vegetali... Naturalmente sarebbe interessante verificare come questo abbia influenzato il microbioma.
L’intero ramo di ricerca è di grande rilevanza, il numero di articoli scientifici che si occupano del microbioma è esploso negli ultimi anni – quindi stiamo lavorando a un tema di grandissima attualità, anche se i soggetti che studiamo hanno qualche migliaio di anni.

La ricostruzione di vecchi ceppi patogeni può anche dare un contributo molto concreto alla soluzione di un problema medico acuto. La tubercolosi, per esempio, è un’altra malattia di cui stiamo cercando da molto tempo di capire le origini e l’evoluzione.

Albert Zink

Le tecniche che sviluppate maneggiando il DNA antico sono interessanti anche per la medicina moderna.

Zink: Chi, come noi, fa ricerca sulle mummie, ha che fare con materiale molto degradato; il DNA è spesso presente solo in frammenti e in quantità molto piccole. Inoltre, c'è il problema già menzionato che ci sono anche molti batteri che non provengono originariamente dal soggetto di studio. Dobbiamo quindi affinare molto le nostre tecniche, per esempio per isolare sequenze di helicobacter dal contenuto dello stomaco di Ötzi. Questi metodi si rivelano utili anche nella pratica clinica quando si tratta di rilevare un agente patogeno presente solo in tracce molto piccole nel corpo di un paziente. Un esempio è la sifilide: nello stadio più avanzato della malattia solo un numero molto piccolo di batteri è ancora in circolazione nel corpo. La medicina moderna è molto interessata alle nostre tecniche.

Ma ci occupiamo anche di sifilide come paleopatologi: esaminiamo resti scheletrici del Medioevo che mostrano segni tipici dell’infezione da sifilide; se fossimo in grado di ricostruire il genoma di questo patogeno a partire dai resti umani, come abbiamo fatto con helicobacter, potremmo imparare molto sull’origine e lo sviluppo della malattia. Per esempio non è ancora chiaro se Colombo l’abbia portata in Europa di ritorno dai suoi viaggi o se esistesse già qui, forse in una forma diversa, oppure ancore se i ceppi si siano mescolati...

Così migliora la comprensione della storia della malattia...

Zink: Ma non solo: in alcuni casi, la ricostruzione di vecchi ceppi patogeni può anche dare un contributo molto concreto alla soluzione di un problema medico acuto. La tubercolosi, per esempio, è un’altra malattia di cui stiamo cercando da molto tempo di capire le origini e l’evoluzione: una malattia che non è ancora sotto controllo, di cui muoiono ancora fino a due milioni di persone ogni anno, nonostante tutto l’impegno della medicina moderna – soprattutto perché ci sono ceppi batterici multi-resistenti contro cui nessun antibiotico è efficace. Questa resistenza non è sempre una reazione agli antibiotici: sono stati trovati antichi batteri che avevano geni di resistenza nel loro genoma. Queste resistenze originali possono esistere anche nei patogeni della tubercolosi? Se questo fosse il caso, allora ovviamente dovremmo ripensare la strategia di trattamento e forse passare a farmaci completamente diversi.

Come ricercatore che lavora sul microbioma fa qualcosa anche per il suo?

Zink: Si comincia sicuramente a pensarci quando si fanno ricerche e si leggono tanti articoli scientifici. Per esempio mangio in modo più consapevole, evito i prodotti industriali, ho del tutto smesso di bere coca cola. E ho un’applicazione sul cellulare che conta i miei passi: dovrei farne almeno 10.000 al giorno – sicuro Ötzi non ne faceva di meno.


Questa intervista è stata pubblicata a dicembre 2017 sulla rivista Academia con il titolo : http://www.academia.bz.it/articles/oetzi-und-seine-untermieter.

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