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La ricetta della "lemon pai"

Ovvero la ricetta per mantenere viva una lingua minoritaria come il mòcheno

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© | BKI
by Valentina Bergonzi

Per non far morire una lingua occorre riconoscerle dignità e tutelarla nella sua specificità storica e culturale, ma soprattutto – in modo un po’ paradossale – bisogna aprirla con fiducia a ogni contaminazione esterna, per farla crescere al passo con i tempi. Vale soprattutto per le lingue minoritarie, e chi parla il mòcheno lo sa bene da secoli.

Si racconta che agli inizi del Novecento una signora tornò a Palù, il suo paese di origine in una valle secondaria del Trentino, dopo tanti anni da emigrante in America. Aveva fatto la cuoca in California. Assieme a qualche spicciolo risparmiato la signora si era riportata a casa un altro tesoro: la ricetta di una torta con un guscio di pasta frolla ripieno di crema al limone e ricoperto di ciuffi di meringa croccante: la ricetta della lemon pie. La signora la preparò per una sagra di paese e tutti ne furono entusiasti, tanto che in breve la lemon pie, con il suo gusto un po’ esotico, divenne la torta d’elezione per le feste. Ma mentre diventava il nuovo dolce tipico del paese, la lemon pie subiva anche un’altra trasformazione grafica: le due parole diventavano una e “pie” diventava “pai”, con la A proprio come si pronuncia, per adattarsi alla grafia della lingua parlata a Palù: il mòcheno.
La lemonpai non era più solo una prelibatezza importata, la lemonpai era diventata proprio mòchena. La lemonpai era una strategia di sopravvivenza della lingua.

Il rischio dell’abbandono e la tentazione della chiusura

Quando la lingua con cui cresci la parlano poco più di mille persone la tentazione di lasciarla perdere è forte. Al mòcheno, una lingua di origini germaniche parlata in alta valle del Fersina, in Trentino, è successo per una buona metà del Novecento. Un po’ per le repressioni fasciste a livello pubblico un po’ per praticità negli scambi con i vicini italofoni degli altri comuni, il mòcheno è stato “lasciato perdere”, fin quasi a scomparire.

“La codificazione è necessaria per prendere coscienza del proprio patrimonio e avere gli strumenti base, ma io dico sempre: apprendete le regole e poi a casa parlate come volete!”

Lorenza Groff

Poi, per iniziativa di singole personalità, come don Giacomo Jakel Hofer, parroco di Fierozzo/Vlarotz, che negli anni Settanta compilò a mano un primo dizionario, e per intervento della Provincia autonoma di Trento, qualcosa è cambiato. Nel 1987 è nato un primo istituto culturale e dal 2006 una legge disciplina le modalità per l’insegnamento della lingua propria nelle scuole delle comunità germaniche del Trentino. Iniziative solo politiche?
“L’istituzione di centri culturali aiuta perché riconosce la dignità di un patrimonio linguistico e culturale, ma la lingua deve prima di tutto vivere, deve essere usata ogni giorno”, precisa Lorenza Groff, collaboratrice dell’Istituto culturale mòcheno, Bersntoler Kulturinstitut, e autrice della lemonpai della fotografia in apertura di articolo.
Già, perché quando la lingua con cui cresci la parlano poco più di mille persone anche la tentazione di irrigidirsi dietro a norme ingessate e consuetudini arcaiche può essere forte. Quando, nei primi anni Duemila, cominciò il processo di normazione della grammatica mòchena e in particolare del sistema di scrittura, con grande attenzione per gli accenti e le regole per la costruzione della frase, nelle sale comunali e nelle aule universitarie dove si tenevano i laboratori ci furono discussioni intense. Alla fine è stata fatta una codificazione unica per le tre varianti di mòcheno, una per ognuno dei tre principali paesi dove è nato nel XIII secolo – Palù/ Palai, Fierozzo/ Vlarotz e Frassilongo/ Garait.
“La codificazione è necessaria per prendere coscienza del proprio patrimonio e avere gli strumenti base, ma io dico sempre: apprendete le regole e poi a casa parlate come volete!”, continua Groff, che ha imparato il mòcheno da grande, grazie alla passione trasmessa da un collega. “Ogni famiglia può avere il suo modo, l’importante è che si parli. Anche l’introduzione di parole nuove prese dall’italiano, dall’inglese o da un’altra variante di tedesco è un prezzo da pagare per tenere viva questa lingua”.
Ragion per cui, per ringraziare per un aggiornamento via Whatsapp Groff dice: gèltsgott ver en messaggio. Mentre la prima parola è una contrazione dell’espressione antica Vergelte es Gott (“il signore te ne renda merito”), diffusa nelle aree meridionali di lingua tedesca, l’ultima parola è un’evidente contaminazione contemporanea dall’italiano.

“Tutte le lingue evolvono, si incontrano, si influenzano”, interviene Sabrina Colombo, linguista di Eurac Research che da anni si occupa di didattica del plurilinguismo. “Anche se una lingua minoritaria necessita di più tutele e attenzioni, rimane pur sempre una lingua e come tale si comporta”.

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Il gioco di società si chiama “Der spilhu' en Bersntol” (“Il gioco dell’oca in mòcheno”) ed è stato ideato per avvicinare le generazioni più giovani alla lingua e alla cultura mòchena. Viene usato anche nei workshop offerti alle scuole altoatesine nell’ambito dell’iniziativa “Klofft pet ins: di una valle multilingue in Trentino”, vedi box a fondo pagina.© Eurac Research - Annelie Bortolotti
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I segnaposto sono dei galli forcelli, le cui piume vengono usate nella valle dei mòcheni per decorare il cappello dei coscritti al compimento del 18esimo anno di età.© Eurac Research - Annelie Bortolotti
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Lorenza Groff alle prese con un gruppo di partecipanti a un workshop sulla lingua mòchena organizzato insieme a Eurac Research per le scuole dell’Alto Adige, vedi box a fondo pagina.© Eurac Research - Annelie Bortolotti
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Lorenza Groff© Eurac Research - Annelie Bortolotti
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© Eurac Research - Annelie Bortolotti

Dignità per tutte le lingue

Quante lingue parla in media una persona? Si contano sulle dita di una mano. Quante lingue sarebbe capace di elencare in media una persona? Forse una cinquantina. In realtà le lingue censite al mondo sono circa 7.000; la stragrande maggioranza sono lingue parlate da comunità di minoranza come il mòcheno, l’aleutino (Alaska), il gaelico irlandese o l’arbëreshe.

“Anche se sono pochi a parlarla, quella lingua ha comunque un valore”.

Sabrina Colombo

“Le lingue rappresentano una cultura e un insieme di valori e se non si parlano, per esempio a scuola, è difficile che si riconosca il tesoro che portano con sé”, sostiene Colombo. “Il numero dei parlanti non basta per giustificare delle scelte di comodo. Anche se sono pochi a parlarla, quella lingua ha comunque un valore. E riconoscere e favorire la contaminazione tra più lingue è sicuramente arricchente”.
“Credo fortemente nel valore collettivo di una lingua”, le fa eco Lorenza Groff. “Il mio mentore, Leo Toller (storico del Bersntoler Kulturinstitut) mi parlava in mòcheno e mi diceva ‘tu rispondi come vuoi’. Così, ho imparato: ascoltando, mescolando le parole, avvicinandomi alle cose, facendo mie delle conoscenze antiche. Adesso a mia figlia parlo in mòcheno, cosa che non avevano fatto in famiglia con me. E spero vivamente che in futuro tutti gli idiomi verranno riconosciuti con la stessa dignità”.

Workshop per le scuole in Alto Adige


Nella primavera del 2023 l’Istituto di linguistica applicata di Eurac Research e l’Istituto culturale mòcheno (Bersntoler Kulturinstitut) hanno ideato e organizzato dei workshop per le scuole medie e superiori. Per 90 minuti le classi sono impegnate in un gioco dell’oca gigante, con domande sul mòcheno e su altre lingue del mondo, e in altre attività interattive in cui mettono alla prova il proprio intuito linguistico.
La partecipazione è stata entusiasta, tanto che le organizzatrici stanno pensando di riproporli.
Per informazioni sui workshop e per scaricare materiale didattico sul plurilinguismo visitare la pagina del progetto SMS. Per una panoramica divulgativa sul plurilinguismo in Alto Adige: Dossier plurilinguismo.

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Elena Chiocchetti

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